Con l’ordinanza del 1° febbraio 2011 l’Ufficio Centrale per il Referendum presso la Corte di Cassazione ha rinviato alla Corte costituzionale la richiesta dei Comuni della Provincia di Salerno per l’istituzione di una nuova Regione mediante distacco dalla Regione Campania ed ha ritenuto non conforme all’art. 132 comma 1 della Costituzione la richiesta referendaria riguardante il Salento.
Chi tra i lettori ha avuto la pazienza di seguire il dibattito sulle pagine del Nuovo Quotidiano può ricordare come il Movimento/Comitato promotore il referendum sul SI alla Regione Salento sia stato ripetutamente criticato da parte di chi considerava il percorso referendario volto alla costituzione di una nuova Regione assai impervio – se non proprio impraticabile – in considerazione della presenza della legge n. 352 del 1970, regolante i referendum previsti dalla Costituzione.
Quest’ultima, proprio con riferimento al caso di referendum istitutivi di nuova Regione, non si limita infatti a riprodurre il procedimento previsto dalla Costituzione, secondo la quale la richiesta deve provenire da tanti Consigli comunali che rappresentino un terzo della popolazione interessata della costituenda Regione e la conseguente consultazione referendaria si deve tenere nelle aree territoriali di nuova costituzione. La legge del 1970, invece, va molto oltre, e stabilisce: a) che a deliberare sono chiamati tutti i Consigli comunali e provinciali della costituenda Regione ed i Consigli comunali che rappresentano un terzo della popolazione del territorio da cui ci si distacca (ossia, nel nostro caso, Bari, Foggia e la Bat); b) che il referendum si deve tenere sul territorio dell’intera Puglia.
Al termine di una conferenza sul tema, organizzata dall’Associazione Nazionale Donne Elettrici, ricordo che – nel replicare a chi invocava la piena legittimità, coerenza ed anche opportunità di tale rigore procedurale della legge del 1970 – avevo invocato non solo il diritto, ma anche il buon senso: non sarebbe assurdo che un Comune di piccolissime dimensioni, non deliberando, possa paralizzare l’intero procedimento?
I Giudici della Cassazione hanno confermato tutti i miei dubbi d’incostituzionalità della legge del 1970, e lo hanno fatto in modo lapidario. Il contrasto con l’art.132 della Costituzione è stato infatti ritenuto “evidente” proprio nella parte in cui quella legge prevede requisiti, appunto, assurdi. Poiché “il primo comma dell’art.132 Costituzione non precisa quali siano le popolazioni interessate”, afferma la Corte: “è logicamente proponibile l’interpretazione secondo cui la volontà del costituente sia stata quella di riconoscere il coinvolgimento nell’iniziativa del distacco di alcuni comuni da una regione per la creazione di un’altra solo alle popolazione degli enti territoriali direttamente interessati al distacco da una regione e alla creazione di un’altra e non anche alle popolazioni di tutti gli altri enti territoriali indirettamente interessati al richiesto cambiamento dell’ente territoriale regionale”. Il “legislatore di attuazione” – afferma conseguentemente la Corte – “si è posto in contrasto con detta disposizione costituzionale nel considerare interessate in ogni fase procedurale, sin da quella dell’iniziativa, tutte le popolazioni comunque interessate alla variazione territoriale”.
Peraltro, sempre nell’ordinanza si legge che la mia tesi “è consentita e rafforzata dalla pronuncia n. 334 del 2004 della Corte costituzionale” riguardante il passaggio dei Comuni da una Regione ad un’altra: sentenza che i miei oppositori ritenevano erroneamente inapplicabile al nostro caso.
In definitiva, è molto probabile che la Corte costituzionale confermerà questo suo orientamento, e pertanto, nello spazio di circa un anno, gli elettori della Provincia di Salerno saranno chiamati al voto referendario.
Il mio auspicio è che anche gli elettori delle Province di Brindisi, Lecce e Taranto possano avere questa opportunità.
Come si diceva all’inizio, l’Ufficio centrale per il Referendum ha ritenuto che le delibere adottate dai Comuni delle tre province di Brindisi, Lecce e Taranto, non contenessero la richiesta di nuova regione, bensì, unicamente, la richiesta di indizione del referendum. Tale giudizio mi lascia da un lato perplesso, ma dall’altro molto fiducioso sulla possibilità di adottare le opportune iniziative in tempi rapidi, addirittura in tempo per l’udienza davanti alla Corte costituzionale che sarà fissata a breve per il “caso Salerno”.
La gran parte delle delibere adottate dai Comuni, infatti, si compongono di un testo e di una nota esplicativa dei motivi per il SI alla Regione Salento inviata dal Movimento a tutti i Comuni (si tratta di un elenco di obiettivi e priorità del costituendo Ente Regione Salento). Il punto saliente è che questa nota non solo è stata espressamente considerata parte integrante di ogni delibera, ma è stata fatta propria dagli Enti locali i quali hanno espressamente “aderito” alla proposta del Movimento, prima di richiedere il referendum. Per chi voglia avere contezza di quanto affermato, rammentiamo che le delibere sono consultabili sui rispettivi siti dei Comuni richiedenti. Esempi illuminanti in tal senso sono – fra le altre – le delibere adottate da Taranto, Galatina, Gallipoli. Addirittura, il Comune di Ugento ha riprodotto nel deliberato parte delle priorità contenute nella nota del Movimento ed ha aggiunto una serie di ulteriori motivi in base ai quali, a parere dei consiglieri, si deve istituire la Regione Salento.
È sulla base di queste ragioni che non ritengo complicato richiedere ai Comuni rappresentanti un terzo della popolazione delle aree delle tre Province di adeguare le delibere adottate e rendere ancora più palese la loro volontà di istituire la nuova Regione, unendo i cittadini salentini e quelli salernitani in un voto referendario espressivo della loro autodeterminazione.
07/02/2011
di Luigi Melica