Torno ancora una volta sul tema dell’istituzione della Regione Salento, dato che, tra gli interventi che si sono schierati per il “no”, ho riscontrato svariate inesattezze e argomentazioni spesso fuorvianti per i lettori.

Per questa ragione, esulando da qualunque giudizio di tipo meramente politico e da studioso del diritto costituzionale, mi soffermerò esclusivamente sull’analisi di alcuni aspetti tecnici del procedimento di formazione di una nuova Regione.
Proseguendo sulla falsariga di un mio recente intervento sul Quotidiano, intendo questa volta occuparmi del concetto di “popolazioni interessate” di cui all’art. 132, comma 1, della Costituzione, sperando che il mio apporto al dibattito possa contribuire a chiarire quello che è uno dei punti cruciali dell’intera vicenda.

Premetto che la disciplina dei referendum per le variazioni territoriali non ha mai destato particolare interesse nell’ambito degli studi di diritto regionale, il che è dovuto principalmente allo scarso ricorso che sinora è stato fatto a tali complesse procedure costituzionali. In effetti, al di fuori dell’ipotesi legata all’istituzione di nuovi Comuni o allo spostamento degli stessi da una Regione ad un’altra, l’art. 132 non ha mai trovato applicazione per ciò che riguarda la creazione di nuove Regioni.

Nel considerare tale norma costituzionale, a supporto della bontà delle tesi sostenute dal prof. Luigi Melica in questi giorni, mi rifarò a una piana esposizione dei commenti di alcuni autorevoli giuristi, in modo da chiarire – spero, una volta per tutte – alcuni dei passaggi salienti legati al procedimento referendario. Si tratta, in particolare, dei commenti all’art. 132 effettuati da: Maurizio Pedrazza Gorlero (Commentario alla Costituzione a cura di G. Branca, Zanichelli, 1990), Sergio Bartole e Roberto Bin (Commentario breve alla Costituzione di Crisafulli, Paladin, Bartole e Bin, Cedam 2008), Luigi Ferraro (Commentario alla Costituzione a cura di Bifulco, Celotto e Olivetti, Utet 2006). Al riguardo, mi pare che la dottrina non lasci spazio ad altre possibili interpretazioni.

In prima battuta, per comprendere la ratio della norma in questione, richiamo brevemente il dibattito svoltosi in sede di Assemblea Costituente quando, ragionando sul procedimento di erezione di una nuova Regione e sul concetto di popolazioni interessate al referendum, il democratico-cristiano Gaspare Ambrosini ha evidenziato che la consultazione sarebbe dovuta avvenire soltanto nell’ambito del corpo elettorale interessato a formare una nuova Regione. Detto in poche parole, se sessant’anni orsono il costituzionalista siciliano fosse stato interpellato attorno alla possibilità di creare la Regione Salento, avrebbe senza dubbio escluso Bari e Foggia dal procedimento referendario.

Già su questo punto, la legge attuativa dei referendum n. 352 del 1970 (sulla cui incostituzionalità mi sono soffermato in un mio recente intervento) pone non pochi problemi dato che, come sostiene Pedrazza-Gorlero, “l’art. 42 della legge n. 352, anziché contenersi nei limiti dell’attuazione dell’articolo in commento, ha notevolmente ed illegittimamente innovato le prescrizioni costituzionali, accordando l’iniziativa referendaria ad organi in esse non previsti e condizionando quella dei titolari all’iniziativa necessariamente congiunta di soggetti dalle stesse non contemplati” (dello stesso avviso, Bartole, Bin e Giupponi).

L’incostituzionalità di tale norma è stata confermata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 334 del 2004 (sia pure, con riferimento all’ipotesi di distacco di un Comune da una Regione per la sua aggregazione ad un’altra) e deriva dal fatto che il legislatore ha coinvolto nel procedimento referendario tutto il corpo elettorale regionale e non soltanto quello interessato alla variazione.

Ma non è tutto. Infatti, la norma ha completamente stravolto l’art. 132 della Costituzione, conferendo il potere di iniziativa referendaria anche ai Consigli provinciali (previsione non contemplata dalla Costituzione) e, peraltro, attribuendolo sia a 1/3 sia dei Consigli delle Province (e Comuni) che intendono formare una nuova Regione (per intenderci, Lecce, Brindisi e Taranto), sia di quelli che subiscono la decurtazione territoriale (dunque, Bari e Foggia). Con la conseguenza, evidenziata da Pedrazza-Gorlero, di allargare “il concetto di popolazioni interessate ai fini dell’iniziativa alle popolazioni indirettamente interessate o controinterressate, introducendo una categoria di titolari che non ha riscontro nell’articolo in esame”.

Ciò significa che quel terzo che la norma Costituzionale richiede (nella parte in cui si dice “quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate”) si riferisce evidentemente ai Consigli comunali di Lecce, Brindisi e Taranto: sono questi, dunque, i territori sui quali va calcolata la frazione minima della popolazione richiesta per poter avanzare la richiesta di consultazione popolare. Ed è questa, continua Pedrazza-Gorlero, la popolazione che dovrà partecipare al referendum, dato che, contrariamente alla previsione contenuta nella legge del 1970, per popolazioni direttamente interessate devono intendersi “quelle abitanti le aree territoriali che, distaccandosi da una o più Regioni, danno vita ad una nuova Regione con un minimo di un milione di abitanti”. Così che si verifica una perfetta coincidenza tra popolazioni interessate ai fini della richiesta, ai fini della variazione e ai fini del referendum.

In conclusione, come bisogna procedere per istituire una nuova Regione? Condividendo l’interpretazione fornita dal prof. Melica e tenendo conto della richiamata decisione n. 334 del 2004, credo che l’Ufficio centrale della Cassazione (una volta che sia raggiunto il requisito di 1/3 delle deliberazioni dei Comuni compresi nella costituenda Regione Salento) in quest’occasione potrà addirittura evitare di sollevare la questione di costituzionalità dell’art. 42 della legge del 1970 (del resto, è lo stesso Ufficio centrale ad averla già sollevata nel 2004); il che potrebbe avvenire semplicemente applicando correttamente l’art. 132 e tenendo conto dell’interpretazione del giudice delle leggi, che fa costante riferimento al principio di autodeterminazione delle popolazioni locali per ciò che riguarda il loro assetto istituzionale. Come sostiene Ferrero, infatti, dalla sentenza n. 334 del 2004 può ricavarsi il principio generale secondo cui sono popolazioni interessate “quelle che risiedono nel territorio direttamente oggetto di variazione, quindi quelle sole collocate all’interno della novità territoriale”.

Resta ora da risolvere un’ultima questione. Molti diranno che un procedimento così configurato sarebbe fortemente penalizzante per i territori di Bari e Foggia, che in questo caso si troverebbero a subire la decurtazione territoriale senza essere al riguardo interpellate. Come può allora tutelarsi la loro legittima pretesa a impedire un’eventuale divisione della Regione Puglia? La risposta è semplice e immediata: difatti, l’art. 132 della Costituzione contiene l’inciso “sentiti i Consigli regionali”. Ebbene, proprio attraverso il parere della Regione Puglia che subisce la diminuzione territoriale (parere obbligatorio, ma non vincolante, come ha precisato la Corte con la recente sentenza n. 246 del 2010) potranno essere tutelate le legittime aspettative delle popolazioni di Bari e Foggia, che – lo ricordo – non sono popolazioni direttamente interessate alla variazione territoriale (contrariamente a quelle di Lecce, Brindisi e Taranto), bensì soltanto indirettamente interessate o, al più, controinteressate. Come ha statuito il giudice delle leggi con la sentenza n. 334 del 2004, “le valutazioni di tali altre popolazioni – anche di segno contrario alla variazione territoriale – trovano congrua tutela nelle fasi successive a quella della mera presentazione della richiesta di referendum”. Così che, continua la Corte, “l’acquisizione e l’esame dei pareri dei consigli regionali avranno sicura incidenza ai fini dell’eventuale approvazione della legge di modifica territoriale”.

Spero, con questo mio intervento, di aver contribuito a chiarire ulteriormente il procedimento descritto dall’art. 132 della Costituzione, rispetto al quale in questi giorni sono state fornite interpretazioni non sempre suffragate da un’adeguata conoscenza dei problemi ad esso sottesi.

Il Salentino 11/10/2010
di Alessandro Candido
Avvocato e Dottorando di ricerca in diritto costituzionale, Università Cattolica di Milano

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