Sì alla Regione Salento.
Ma occorre una politica responsabile per sostenerne i costi.
Ultimamente non si parla d’altro che dell’idea, rilanciata in più sedi, di promuovere l’istituzione della Regione Salento, con capoluogo Lecce.
Grazie all’artefice del movimento, il dott. Paolo Pagliaro, si è costituito il Comitato promotore del referendum per il sì all’indipendenza dei territori di Lecce, Brindisi e Taranto e per la loro separazione dalla troppo “baricentrica” Puglia. Ecco l’oggetto del quesito referendario: «volete che il territorio delle province di Brindisi, Lecce e Taranto e quindi anche il territorio del comune di cui siete rappresentanti sia separato dalla Regione Puglia per formare una Regione a sé stante denominata Regione Salento?».
La pretesa rivendicazione della nostra “salentinità” rappresenta senza dubbio un’idea non poco affascinante, che poggia le sue basi sulla presenza di un territorio (da Fasano in giù) morfologicamente diverso da quello del resto della Puglia, oltre che da una popolazione accomunata da analoghe tradizioni e da una storia comune, nonché da una cultura, un linguaggio e un dialetto molto simile. A ciò si aggiunge il gran numero di infrastrutture che consentirebbero alla costituenda Regione di essere sin da subito autosufficiente: non mancano infatti i porti, gli aeroporti, l’Università, o altre importanti sedi amministrative e istituzionali, quali il distretto militare, la Corte d’appello o il Tar, senza poi considerare l’elemento che dovrebbe costituire il principale cavallo di battaglia dell’economia salentina, vale a dire il turismo.
Per la verità, quella di realizzare la Regione Salento è un’idea che affonda le sue radici addirittura nel XVI secolo, cioè in quel particolare momento storico in cui si è andata affermando la storica tripartizione della Regione Puglia in Capitanata, Terra di Bari e Terra d’Otranto, creando un assetto amministrativo che sarebbe rimasto immutato sino al periodo fascista, quando Mussolini avrebbe poi suddiviso la stessa Terra d’Otranto nelle attuali Province di Lecce, Brindisi e Taranto, iniziando a privilegiare in modo evidente l’economia dell’area barese.
Non può poi non ricordarsi che l’aspirazione del Salento a costituirsi come Regione autonoma viene avanzata sin dal 1860, cioè dall’epoca dell’unificazione dell’Italia, per poi essere riproposta quasi un secolo dopo da Giuseppe Codacci Pisanelli in sede di Assemblea Costituente (il 17 dicembre 1946). Il noto professore di diritto amministrativo (che è stato anche più volte ministro e deputato, magistrato, pretore e Sindaco di Tricase, nonché per tanti anni Rettore dell’Università di Lecce) ha con forza sottolineato che «nella Capitanata, nella terra di Bari e nel Salento esistono notevoli differenze di struttura economica», aggiungendo «che in queste tre zone si hanno varie tonalità nel dialetto, il che sta a provare una diversa origine etnica delle popolazioni locali». Ancora, continua Codacci Pisanelli, gli abitanti del Salento «sono convinti che la loro aspirazione non possa nuocere all’unità del Paese, raggiunta dopo tante fatiche e sanguinose lotte, a cui gli stessi Salentini hanno partecipato».
Dopo la brillante relazione alla Costituente, la Regione Salento (comprendente le Province di Lecce, Brindisi e Taranto) viene prima istituita sulla carta ma, subito dopo, il 29 dicembre 1947 viene improvvisamente depennata, a seguito di un accordo raggiunto tra il Democratico Cristiano magliese Aldo Moro e il comunista Palmiro Togliatti, a favore delle forti pressioni sugli interessi economici della città di Bari. Ulteriori infruttuose iniziative sono state intraprese nel 1970, nel 1987 e, da ultimo, con un disegno di legge del 2001 che è stato accantonato a seguito della scadenza della legislatura.
Venendo agli ultimi anni, numerosi sono stati i tentativi in senso autonomistico rilanciati dai Presidenti e dai Sindaci delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto, che nel 2006 hanno realizzato il progetto del c.d. Grande Salento, cioè un tavolo di consultazione volto a sostenere la crescita economica del territorio attraverso politiche di cooperazione (che, per la verità, non hanno ancora prodotto i frutti sperati). In tale direzione deve intendersi il cambiamento di denominazione dell’Università di Lecce, oggi Università del Salento, o dell’Aeroporto di Brindisi, oggi Aeroporto del Salento.
Poste tali premesse, pur tralasciando il fatto che la morfologia del territorio, la cultura e le tradizioni che accomunano gli abitanti del Salento siano elementi già di per sé sufficienti per tentare la realizzazione della ventunesima Regione italiana, non può invece tacersi un elemento ulteriore, ma decisivo: il principale problema, infatti, è che le risorse in Puglia non vengono distribuite equamente; basti pensare al fatto che, dei fondi messi a disposizione dalla Regione per il quinquennio 2007-2013, il 70% è stato utilizzato per la Provincia di Bari, mentre il restate 30% è stato ripartito tra le altre quattro Province.
Ciò detto, restano da affrontare due questioni di non poco conto: anzitutto, deve avere un esito positivo il complicato procedimento indicato dall’art. 132 della Costituzione (che sarà compiutamente analizzato nel prossimo numero del periodico), in base al quale per costituire una nuova Regione è necessaria una legge costituzionale, previo parere del Consiglio regionale ma, prima ancora, occorre «che ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse».
Non meno rilevante è poi la questione dei costi che (una volta superato lo scoglio del complesso iter di cui all’art. 132 della Costituzione) l’eventuale istituzione della nuova Regione comporterebbe. Premetto che sarebbe opportuno, in un futuro non troppo lontano, giungere finalmente all’eliminazione di tutte le Province italiane (con un risparmio per le tasche degli italiani pari a 17 miliardi di euro all’anno).
Ma, non essendo ciò possibile nell’immediato (e, dunque, conservando l’attuale struttura istituzionale), le spese potranno essere contenute se, come il Presidente di Mixer Media Pagliaro ha recentemente ribadito, si configurerà una Regione formata da soli 31 Consiglieri. Dal che, con tutta probabilità, dovrebbe derivare di conseguenza anche un adeguamento in termini numerici dei vari Consigli provinciali e comunali, riuscendo così a contenere i costi di una politica che, nel caso in cui quest’ambizioso progetto sarà realizzato, dovrà dimostrarsi responsabile e vicina alle reali esigenze dei cittadini salentini.
Il Salentino 26/08/2010
di Alessandro Candido
*Avvocato e dottorando di ricerca in Diritto pubblico, Università Cattolica di Milano.