Dal Manifesto di domenica 05.09.2010 Pag. 15 TERRITORI
LECCE – altra Italia – Salento REGIONE
Nel tacco d’Italia, passata l’estate della taranta avanza la proposta di secessione da Bari. L’idea è quella di costituire una nuova regione con le province di Brindisi, Lecce e Taranto. Contrario il governatore Vendola, entusiasta Poli Bortone, fondatrice del movimento Io Sud.
Intanto c’è la Repubblica.
Se la Regione Salento per ora è un’aspirazione, la Repubblica salentina di fatto esiste già e si raffigura sotto un marchio creato nel 2007.
Un’idea giovane, scaturita da un gruppo di studenti del tecnico commerciale “O.G. Costa” di Lecce (aperto nel 1885 e fra i più antichi istituti tecnici del paese), che mira alla promozione culturale e turistica dell’area geografica del Salento.
Che una variegata compagine di imprenditori e intellettuali del posto vorrebbe elevare al rango di nuova regione.
La terra della taranta oggi, conosciuta nel mondo anche attraverso i concerti di agosto che diffondono musiche e danze di tradizione, fino a metà anni ’90 era un’entità territoriale del sud Italia dal nome piuttosto vago.
Da indagini statistiche di quegli anni risulta che l’80% degli italiani non ne conosceva bene la localizzazione. Si sapeva che Lecce fosse in Puglia, ma il Salento (l’area della sua provincia) veniva confuso con il Cilento, credendo che i due nomi fossero usati indistintamente per indicare il sud della Campania.
Non c’è molto da sorprendersi: gli stessi salentini presentavano lacune in materia.
Nella geografia scolastica, ancora fino a due-tre decenni fa, la Puglia si studiava secondo la ripartizione solita delle province, sorvolando su definizioni come Capitanata o Salento che indicano aree sub-regionali.
Se proprio si voleva menzionare il sud della regione con un nome più totalizzante, si ricorreva all’espressione “Terra d’Otranto” di cui la città di Lecce è da sempre il capoluogo storico.
Nonché amministrativo fino agli anni venti del ‘900 quando il nascente regime fascista, anche per attribuire maggiore dignità alla flotta militare con basi a Taranto e Brindisi, staccò queste due città da Lecce rendendole capoluoghi di provincia.
Da qualche mese è stato rispolverato il progetto di ricompattare la vecchia Terra d’Otranto sotto il nome di una possibile regione Salento autonoma dal resto della Puglia, sì da divenire la 21° regione d’Italia.
Che si tratti di una rispolverata, per questo progetto, ce lo ricorda la storia contemporanea.
All’indomani della fine della guerra, fra gli anni 1946-1947, il parlamentare salentino Giuseppe Codacci Pisanelli eletto all’assemblea costituente si prodigò per il riconoscimento del Salento come regione.
La proposta venne pure accolta.
Ma l’illusione di autonomia durò solo qualche mese.
La commissione preposta, per ragioni rimaste ignote, decise di depennare il Salento dall’elenco delle regioni da istituire con l’approvazione della Costituzione.
Nei decenni successivi l’idea di regione per il Salento è divenuta ricorrente, ma senza lasciare traccia: se ne comincia a discutere all’improvviso, spesso in modo strumentale, e rapidamente l’argomento si esaurisce.
Questa volta, estate 2010, la proposta di una regione costituita dalle province di Lecce-Brindisi-Taranto e separata dalla Puglia, parte con qualche passo compiuto.
Nello scorso agosto è stata formalizzata presso uno studio notarile a Brindisi la costituzione del movimento “Regione Salento – comitato promotore del referendum per il sì alla istituzione della nuova regione”.
Soci fondatori una schiera dell’èlite sociale salentina (la futura classe dirigente del velleitario nuovo ente regione?) che ha eletto presidente del movimento Paolo Pagliaro, editore di un’emittente televisiva locale, Telerama, sorta nel 1989 e oggi diffusa nel territorio delle tre province.
Una decina di anni fa lo stesso Pagliaro aveva aderito all’associazione “Salento regione d’Europa” fondata da un avvocato socialista leccese, Fabio Valenti, già vice-sindaco della città.
Il movimento per l’indizione del referendum ha invitato i sindaci a deliberare la richiesta del referendum consultivo fra gli abitanti di ciascuno dei 146 comuni delle tre province, come è previsto dall’articolo 132 della Costituzione.
È indispensabile che si pronuncino a favore i consigli comunali con almeno un terzo degli abitanti che ammontano a un milione e ottocentomila.
Le risposte dei comuni sono state quasi unanimi, con la maggioranza favorevole al progetto del movimento.
Ma anche la gran parte dei sindaci che si è espressa per il no a una nuova regione, ha accettato democraticamente la richiesta di indire il referendum consultivo.
Quali sono dunque le motivazioni alla base della proposta secessionista?
«Sgombriamo subito il campo da possibili fraintendimenti su un punto che deve essere fondante: il movimento non presuppone alcun disegno di secessione dalla patria-Italia, che per noi è unica e sacra – ci dice il presidente Paolo Pagliaro – Insomma, propositi leghisti per creare una Padania del Sud qui non allignano.
Premesso ciò, aggiungiamo pure che le spinte separatiste della Lega Nord hanno condotto al dibattito sul federalismo il quale rappresenta una grossa opportunità per un progetto autonomista.
Si godrà infatti di più potere decisionale e di maggiori risorse in capo alle regioni.
Il federalismo stabilisce una spesa standard garantita con cui ciascuna regione dovrà fare i conti per la propria gestione. Saremo in grado di costruirlo da noi, poi, lo statuto per contenere i costi.
Una nuova regione, il Salento, non può che rappresentare un laboratorio come modello virtuoso per l’intero paese. Modello a cui ispirarsi anche per peso di popolazione, dato che questa neo-struttura istituzionale con quasi due milioni di abitanti si piazzerà all’undicesimo posto fra le regioni d’Italia».
Un Salento capace di sganciarsi dalla cappa ‘baricentrica’ grazie a un dato che appare inconfutabile: il prodotto interno lordo delle tre province del sud è superiore a quello del capoluogo barese. «Nonostante ciò – precisa Pagliaro – la politica regionale di Bari accentra nel capoluogo il 70% degli investimenti, mentre il resto se lo devono spartire ben cinque province».
«Il progetto, che prelude a un iter abbastanza complesso, può apparire utopistico – dice Alfredo Prete, presidente della Camera di commercio di Lecce e socio fondatore del movimento – ma è utile essere determinati a portarlo comunque avanti.
L’importante è che si crei clamore e attenzione.
Le popolazioni salentine, a lungo emarginate, ora che hanno raggiunto notorietà sulla ribalta nazionale ed europea per la visibilità del proprio territorio, rivendicano a buon diritto risorse e servizi da parte di un’amministrazione regionale spesso matrigna».
Come sta reagendo il mondo politico regionale al movimento referendario?
Il presidente Nichi Vendola non si è mai risparmiato, in quanto ad elogi almeno, nei confronti del Salento.
Si è speso con trasporto, in diverse occasioni, con dichiarazioni d’amore verso questa terra da lui definita di recente, poeticamente, una grande regione del pianeta.
Ma a una regione Salento proprio non ci sta, se ha bollato tale progetto come un’idea pressoché leghista.
All’incasso invece, per la sua istituzione, è pervenuta la senatrice Adriana Poli Bortone, già fondatrice del movimento politico meridionalista Io Sud, condividendone il progetto.
Invece di uno sviluppo, per la possibile regione Salento, non si corre il rischio di ulteriore isolamento, di restare davvero, data la posizione geografica, l’ultima regione del meridione?
«Dipende da quale polo si guarda al Salento – riprende il presidente in nuce Paolo Pagliaro – Da sud sarà la prima regione del bacino del Mediterraneo, la frontiera con i nuovi mercati dei Balcani.
Abbiamo le infrastrutture potenziali, su entrambe le coste bagnate dai due mari, con porti e aeroporti da rendere competitivi.
Dobbiamo solo riempire di contenuti un progetto già pronto». I detrattori della nuova regione sostengono che i personaggi coinvolti nel movimento stiano intraprendendo la strada più veloce per intrufolarsi in politica.
Niente di nuovo, allora, sotto il sole d’agosto?
«Il movimento non mira ad alcuna finalità politica – ribatte Pagliaro – L’obiettivo, unico, è di indire il referendum con l’auspicio di consegnare, alla politica, un modello virtuoso.
Per quanto mi riguarda, non ho mai pensato minimamente a un ruolo politico, anche se spesso sono stato tallonato da più sponde.
Mi considero un imprenditore a tempo pieno, editore nel mio caso, che si spende per un impegno sociale e civico».
Il Manifesto 07/09/2010
di Federico Cartelli