Lo scorso 10 dicembre molti consiglieri del Comune di Lecce hanno disertato la seduta del Consiglio comunale, proprio in un’occasione in cui il primo punto all’ordine del giorno riguardava la scelta sul referendum per l’istituzione della Regione Salento.
È questo un atto di palese irresponsabilità politica e, se l’intero Paese sta vivendo una profonda fase di stallo dovuta alla presenza di una classe dirigente (di “maneggioni”) che ha segnato la morte dell’oggetto della rappresentanza, quanto accaduto a Palazzo Carafa rappresenta bene la crisi valoriale oggi dominante. Intendo sin da subito precisare che, quando parlo di irresponsabilità politica, non mi riferisco soltanto al mancato pronunciamento – non importa se in senso favorevole o contrario – sulla questione relativa alla Regione Salento.
Premetto che, in relazione a quest’ultimo tema, come ho già avuto modo di sostenere in più occasioni, ritengo opportuno che siano gli abitanti delle tre Province di Lecce, Brindisi e Taranto a dover esprimere la propria opinione e non, al loro posto, i singoli Comuni. In altri termini, quei Consigli comunali che si sono schierati per il “no” avrebbero dovuto a mio parere lasciare ai cittadini la possibilità di servirsi di quel formidabile strumento di democrazia diretta che è il referendum. Peraltro, in questo caso si discute di un referendum che ha una natura meramente consultiva e che costituisce soltanto il primo degli step previsti nell’ambito del procedimento di modifica territoriale tracciato dall’art. 132 della Costituzione.
Nel caso della seduta consiliare andata quasi deserta, non solo non c’è stata una pronuncia in merito alla questione della Regione Salento (pronuncia che non ci sarà, almeno prima dell’Epifania), ma il Consiglio comunale ha altresì omesso di occuparsi di altre importanti problematiche poste all’ordine del giorno: basti pensare al nuovo piano di edilizia economica e popolare, o all’epica vicenda dei filobus (in fase di stallo da più di 1300 giorni).
Per fare una corretta informazione, è giusto ricordare che, al momento del terzo appello del presidente dell’assise Eugenio Pisanò, erano presenti soltanto 14 consiglieri (oltre al Sindaco Paolo Perrone e allo stesso Eugenio Pisanò) su ben 41. Molti altri erano assenti, mentre qualcuno, pur presente, si era appositamente allontanato per impedire il raggiungimento del numero legale e, così, per bloccare i lavori. Questo non è certo un modo serio e democratico di mettersi al servizio dei cittadini, ma è solo un bieco tentativo di non esporsi politicamente. Bensintenda, e lo ribadisco, l’aspetto grave non è il non aver deliberato a favore del referendum, ma il non essersi pronunciati affatto, nemmeno in modo contrario, evitando così di assumersi una precisa responsabilità di fronte ai propri elettori.
Tanto premesso, è utile, a questo punto, lasciare da parte le questioni (a)politiche, per svolgere alcune considerazioni più prettamente tecniche in relazione al procedimento costituzionale da seguire per la creazione di una nuova Regione.
In prima battuta, occorre segnalare che lo scorso 30 novembre è stato raggiunto il quorum per la richiesta di referendum relativo all’istituzione della Regione Salento, essendosi pronunciati favorevolmente 1/3 dei Comuni delle Province di Lecce, Taranto e Brindisi. Il prossimo passo sarà compiuto il 20 dicembre, con la presentazione della memoria di accompagnamento dinanzi all’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione.
Com’è noto, l’art. 132 della Costituzione ha tracciato al riguardo una procedura ben precisa, che è stata letteralmente stravolta dalla legge (in)attuativa n. 352 del 1970. Detta legge, infatti, all’art. 42, co. 2 ha palesemente falsificato il disposto costituzionale, conferendo il potere di iniziativa referendaria anche ai Consigli provinciali (previsione non contemplata dalla Costituzione) e, tra l’altro, attribuendolo tanto ai Consigli delle Province (e dei Comuni) che intendono formare una nuova Regione (nel caso odierno, Lecce, Brindisi e Taranto), quanto a quelli che subiscono la decurtazione territoriale (dunque, Bari e Foggia).
Su tale norma si è già pronunciata la Corte costituzionale con sentenza n. 334 del 2004, dichiarandone l’incostituzionalità (sia pure con riferimento all’ipotesi del distacco dei Comuni da una Regione per la loro aggregazione ad un’altra) e, implicitamente, affermando l’illegittimità costituzionale dell’art. 44 della citata legge del 1970, nella parte in cui si impone che il referendum debba svolgersi tra le popolazioni di tutta la Regione e non soltanto nei territori coinvolti dalla variazione territoriale.
Ma, più che la giurisprudenza costituzionale, una palese conferma dell’erroneità della legge del 1970 si rinviene leggendo gli atti dell’Assemblea Costituente. In effetti, già nel 1946 Gaspare Ambrosini affermava che “il referendum si riferisce alle popolazioni interessate ad unirsi in Regioni nuove” (gli atti dell’Assemblea Costituente possono essere consultati sul sito della Camera), mentre le posizioni delle popolazioni controinteressate (vale a dire, nel caso odierno, quelle abitanti i territori di Bari e Foggia) sarebbero venute in rilievo attraverso il previo parere delle relative assemblee regionali.
Appare dunque sin da subito chiaro che, come emerge dal dibattito Costituente, nel caso di creazione di Regioni nuove “è sufficiente che la richiesta sia fatta da un terzo dei Consigli comunali delle popolazioni che vogliono riunirsi in Regione autonoma” (ved. V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, La Costituzione della Repubblica italiana, Milano 1976, 411); b) “non sembra possibile una diversa interpretazione, poiché questa soluzione è stata data per ciò che concerne il referendum e perché, in entrambi i casi, della richiesta e del referendum, la preoccupazione è la stessa: avere riguardo alla volontà delle popolazioni interessate” (ibid., 412).
Detto ancora in altre parole, contrariamente a quanto qualcuno ha erroneamente affermato in questi giorni, è lampante che l’art. 132, co. 1, Cost., ai fini tanto della richiesta, quanto dello svolgimento del referendum, considera “popolazioni interessate” esclusivamente quelle appartenenti ai territori della costituenda Regione, cioè ai territori di Lecce, Brindisi e Taranto.
16/12/2010
di Alessandro Candido
Avvocato e Dottore di ricerca in diritto costituzionale presso l’Università Cattolica di Milano.