La tesi che avevo espresso in un articolo apparso sul Quotidiano di Puglia, secondo la quale la legge costituzionale istitutiva di una nuova Regione può derogare l’iter previsto dall’art.132 della Costituzione, recentemente criticata dall’ On. Ria, non discende dalla storia costituzionale, e, quindi, da una mia non precisa conoscenza delle disposizioni transitorie della Costituzione, come sembrerebbe emergere dalle affermazioni del deputato. Essa scaturisce dall’applicazione delle regole basilari che presiedono la teoria delle fonti, ovvero, dai rapporti che intercorrono tra Costituzione e leggi costituzionali. E’ noto che in base all’art.138 della Costituzione, la Costituzione può essere modificata solo attraverso un procedimento aggravato che prevede un doppia deliberazione di entrambe le Camere adottata a non meno di tre mesi l’una dall’altra, richiedendosi, nella seconda deliberazione, la maggioranza assoluta dei componenti le Camere. E’ anche noto che la creazione di nuove Regioni si deve realizzare attraverso legge costituzionale, ossia attraverso un procedimento formalmente uguale a quello previsto per modificare la Carta (l’art.138, appunto). E’ infine ancora più noto che non tutto il Testo della Costituzione possa modificarsi o derogarsi, in quanto esistono limiti assolutamente insormontabili espressamente previsti (ad esempio il divieto di modificare la forma repubblicana, art.139) e limiti inespressi (quali i principi supremi della Costituzione contenuti nei suoi primi 12 articoli). Ebbene, proprio a proposito dei limiti alla revisione costituzionale, uno dei più illustri costituzionalisti contemporanei, il compianto Livio Paladin, già Presidente della Corte costituzionale, nel suo celebre manuale “Le fonti del diritto italiano”, nel qualificare come una “scappatoia” la tesi secondo la quale il legislatore potrebbe adottare una legge costituzionale per eliminare il divieto di revisione della forma repubblicana e poi, sempre attraverso legge costituzionale, reintrodurre la monarchia, affermava testualmente: “a quella stregua, il limite derivante dall’art.139 non vincolerebbe le leggi di revisione costituzionale più di quanto importi l’art.132, sul procedimento aggravato da seguire per la fusione di Regioni esistenti o per la creazione di nuove Regioni: procedimento che suole considerarsi modificabile nei singoli casi, derogando alla disciplina costituzionale e poi rinnovando l’elenco delle Regioni contenuto nell’art.131, appunto perché la Costituzione si guarda bene dal precludere qualsivoglia revisione del procedimento stesso”. In altre parole, e per i non addetti ai lavori, mentre è implicito che anche con un doppio procedimento di revisione costituzionale non si possa tornare alla monarchia, il procedimento previsto dall’art. 132 è ovviamente derogabile proprio perché si deve intervenire con legge costituzionale e quindi seguire il procedimento previsto dall’art.138. Questa regola, come accennavo all’inizio, altro non rappresenta se non la differenza che più in generale esiste tra abrogazione di una norma – anche costituzionale – e deroga della stessa a vantaggio di un’ipotesi specifica, nonché l’applicazione della basilare regola della successione delle leggi nel tempo aventi pari grado.
D’altra parte i presentatori della disegno di legge costituzionale per la creazione della Regione Romagna – n. 642 del 10 maggio 2006 di iniziativa del Deputato Raisi, ripresentato alla Camera il 14.05.2008 con n. 1005, dallo stesso Raisi insieme ai Deputati Bernini e Bovicelli nonché il ddl costituzionale n.176 presentato dall’On.le Pini del 29 aprile 2008, sempre di istituzione della Regione Romagna – come accennavo nel mio articolo apparso sul Quotidiano di Puglia, si propongono di istituire tale Regione ai sensi dell’art.132, ma derogandone l’iter, in quanto – probabilmente – lo ritengono illegittimamente attuato dalla legge n.352 del 1970 la quale abilita al voto referendario anche i cittadini dell’Emilia e non solo quelli della Romagna, così attribuendo ai primi un diritto di veto alla istituzione della nuova Regione.
E se l’On.le Ria avesse ancora dei dubbi, può leggere l’art. 1 del ddl Pini sopra citato che recita: “E’ istituita in deroga all’art.132 la Regione Romagna”.
Pini appartiene al Partito della Lega Nord, le cui idee solitamente contrastano con le mie, ma, ancora una volta, devo ammettere che l’entourage leghista è molto preparato. All’amico Lorenzo Ria queste precisazioni le avevo fornite verbalmente incontrandolo di recente, ma, evidentemente, non è stato sufficiente.
Quindi, ribadisco, se per caso si decidesse di presentare un disegno di legge costituzionale senza seguire l’iter previsto dall’art.132, nulla osterebbe come già avevo scritto: tuttavia, lo riterrei inopportuno in quanto si eviterebbe il pronunciamento popolare.
Il punto è proprio questo. Ma perché, mi chiedo, si vuole a tutti costi impedire che il popolo salentino si pronunci attraverso un referendum la cui natura è peraltro consultiva? Perché chi è contrario all’istituzione della Regione Salento, come il senatore Ria, non si adopera per far indire il referendum per poi per far prevalere le ragioni del No attraverso la sua straordinaria esperienza politica e vis oratoria? Sono peraltro convinto che un argomento usato in un altro articolo apparso sempre sul Quotidiano da un Senatore, sempre dell’UDC, Totò Ruggeri, avente ad oggetto l’istituzione di una macro Provincia in alternativa alla Regione Salento, ben potrebbe essere esposto nella campagna referendaria in alternativa alla nuova Regione, e, quindi, per un voto contrario alla sua istituzione; ma ostracizzare a priori un referendum, peraltro di natura consultiva, proprio non lo comprendo, ma il mio mestiere è quello di professore e non di politico.
Prof. Luigi Melica ordinario di diritto costituzionale (per favore non menzionare l’Università).

Nuovo Quotidiano di Puglia 31/08/2010
di Luigi Melica

 

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