L’idea di promuovere l’istituzione della Regione Salento, di recente rilanciata da più sedi, non è, solamente, un felice richiamo alla memoria del prof. Codacci Pisanelli cui va il merito di averla inserita nell’elenco delle Regioni da approvare in Assemblea costituente. Riproporre oggi questo progetto può suscitare una maggiore condivisione rispetto alla fine degli anni “90 del secolo scorso, quando pure l’idea fu lanciata da un importante gruppo promotore.
Rispetto ad allora, infatti, le Regioni italiane hanno acquisito molte più competenze, sia in via esclusiva, sia in condominio con lo Stato e rivestono un ruolo molto più strategico nel coordinamento degli enti territoriali cui possono assegnare deleghe e trasferire funzioni pubbliche anche di primaria importanza. Rispetto ad allora, inoltre, ha acquisito maggiore centralità il principio della responsabilità politica della classe dirigente in relazione al contenimento della spesa ed ai servizi da assicurare alle rispettive popolazioni.
Lo strumento mediante il quale raggiungere questo obiettivo è – come viene detto da mesi – la riforma del federalismo fiscale di imminente approvazione da parte delle Camere ed in particolare la sostituzione del criterio della spesa corrente con quello della spesa standard per ciascuna funzione pubblica.
La missione politica della Lega Nord, da questo punto di vista è da tempo molto chiara: le Regioni dovranno “camminare con le proprie gambe”. Chi non ce la farà, sarà penalizzato dalla stessa politica poiché, di fatto, disporrà di meno risorse per la propria comunità. La Lega, come è noto, è un partito profondamente radicato al Nord molto più che al Sud d’Italia e soprattutto ha mantenuto nel proprio Statuto la possibilità della secessione della Padania dal resto di Italia. Di fronte a questo scenario politico e giuridico/costituzionale, viene spontaneo osservare che le motivazioni che già prima del 2000 avevano suggerito a più di un analista di dividere il Salento dal resto della Puglia, quali le maggiori affinità storico/culturali ed economiche della parte sud rispetto a quella nord della Regione, non possono che riproporsi arricchite di contenuti.
La stessa configurazione geografica della Regione Puglia induce a pensare che la forte disomogeneità tra le sue terre difficilmente possa conciliarsi con le aspettative scaturenti dall’attuazione del federalismo fiscale. E’,in altre parole, lampante che le esigenze delle aree territoriali di Lecce, Brindisi e Taranto, non possano essere le stesse dell’alta Puglia, ossia di territori – pure ricchi di specificità straordinarie – ma meno votati al turismo marino e culturale ed in cui sono presenti comparti industriali con caratteristiche molto diverse rispetto a quelli dell’area salentina.
In questo contesto, appurato che il rilancio del Sud non possa che passare dalla sua riorganizzazione infrastrutturale, è evidente che si dovrebbe immaginare una programmazione ad hoc delle diverse aree territoriali, sia in ordine al rispettivo governo del territorio, sia al sistema dei porti e degli aeroporti civili, sia, infine, a quello delle grandi reti di trasporto e di navigazione, ossia in relazione a materie che le Regioni gestiscono in condominio con lo Stato (le c.d. materie concorrenti).
Ed è proprio in questa direzione che urge dare priorità a programmi e progetti di sviluppo realmente confacenti alle diverse aree regionali: meglio, quindi, se pensati e realizzati da chi conosce e percepisce in modo forte le problematiche espresse da e sul territorio. D’altra parte, chi meglio di una classe politica locale può comprendere le formidabili sinergie, ad esempio, che possono realizzarsi tra il Mediterraneo ed il porto di Taranto o tra il turismo che transita dal porto di Brindisi e l’offerta turistico/culturale della Provincia di Lecce? Chi, se non una classe politica effettivamente espressione della propria realtà territoriale può comprendere quanto sia strategico, per esempio, dotare l’aeroporto di Brindisi di un sistema di treni efficienti che lo collegano al resto del Salento, o, più in generale, quanto possa essere decisivo investire sul traffico su rotaia interno, collegando adeguatamente i più importanti Comuni dell’hinterland dei tre Comuni capoluogo?
La circostanza, infine, che spetta sempre alle Regioni stabilire il numero dei consiglieri regionali e la forma di governo induce a pensare che una classe politica avveduta, capace di comprendere quanto di cui sopra, sarà anche capace di ridurre al minimo le spese per il nuovo Ente, non duplicando, ma dimezzando quanto già si spende dalla Regione Puglia. Un discorso a parte andrebbe fatto sull’iter di approvazione della Regione Salento posto che in altre occasioni si è evitato di consultare il “popolo” della costituenda Regione considerando la legge costituzionale sufficiente a derogare alla procedura prevista dall’art.132 (e quindi la necessaria richiesta di 1/3 dei Consigli comunali che rappresentano un terzo delle popolazioni interessate e l’approvazione della proposta con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse). Ritengo, invero, che l’iter costituzionale, poiché prevede il coinvolgimento delle popolazioni e prima ancora degli organismi locali rappresentativi così come stabilito dalla Costituzione e dalla sua legge attuativa abbia non solo senso ma anche una sua razionalità metodologica e come tale debba essere seguito. E’ molto meglio, infatti, poter contare su un progetto presentato in Parlamento da tutti i deputati del Salento, ma anche sorretto dal forte consenso indicato dalla Costituzione.
Quotidiano di Lecce 03/08/2010
di Luigi Melica