Metter mano a una nuova “confinazione” amministrativa o, addirittura, alla ridefinizione complessiva dei livelli territoriali dell’amministrazione della Repubblica, comporta intanto avere esatta cognizione dei percorsi storici e delle logiche che hanno determinato l’assetto attuale.

Ma, sopratutto, aver chiare le finalità di assetto territoriale che si intendono conseguire e i costi-benefici complessivi delle diverse opzioni in campo. A confermarlo è anche un autorevole studio della Società Geografica Italiana. Privilegiare un livello territoriale di azione amministrativa, piuttosto che un altro, ha infatti ricadute di lunga durata, in quanto strutturali, che non consentono interventi non adeguatamente valutati. Così come perimetrazioni inidonee finirebbero per creare scompensi e danni difficilmente rimediabili.
In questa prospettiva, secondo i geografi, considerata la natura profondamente urbana dell’assetto geografico della penisola, privilegiare la scala delle Regioni, per come oggi sono definite nei confini e nelle funzioni, costrutti prevalentemente artificiosi, rispetto a Enti cabine di regia, che sono modellati sulle aree urbane, appare incongruo e irrazionale. Aprire la strada ad un ridefinito Neoregionalismo in chiave modernista e di prospettiva Europea.

Occorre cambiare mentalità, servono nuove politiche, politiche coraggiose, che percorrano la strada delle riforme.

L’Italia deve tornare al centro dello scacchiere internazionale sul piano economico, culturale e civile. Per farlo è necessario perseguire l’unica strada percorribile, quella cioè delle soluzioni riformiste promuovendo un’azione di sintesi delle pressanti e improrogabili richieste di riforma dell’architettura istituzionale a partire dall’alleggerimento della macchina burocratica e dallo snellimento dell’attività amministrativa nei sottolivelli del Governo della cosa pubblica.

Tutto ciò, a partire da una riforma del regionalismo, che consenta una revisione non solo del numero delle attuali Regioni ma anche dei loro confini, secondo logiche di coerenza territoriale, prossimità amministrativa e identità culturale. Questo porta nella direzione di un Neoregionalismo di prospettiva europea e di respiro modernista. Un nuovo Regionalismo che sia giusto contrappeso alla centralità di uno Stato che non funziona in modo efficiente. Guardando all’Europa, solo in Italia esistono quattro livelli di governo (Stato, Regioni, Province e Comuni). Regioni nuove di dimensioni ottimali e con una struttura amministrativa più snella ed efficiente che peraltro permetterebbero l’eliminazione di inutili enti e agenzie che come strutturate e gestite oggi, sono soltanto utilizzati a fini clientelari, fornaci della spesa pubblica con sprechi che non possono essere tollerati. Bisogna mettere in atto una riforma strutturale del Titolo V della Costituzione

Moralità e trasparenza della vita pubblica sono gli obiettivi che bisogna perseguire attraverso una riforma delle Regioni in modo da renderle più prossime al cittadino, omogenee, identitarie, più efficienti e funzionali.

Occorre dunque eliminare le Province e i tanti enti inutili dalla Costituzione e promuovere unioni e consorzi tra Comuni e ridurre il numero dei Comuni in modo tale da ridisegnare l’assetto territoriale prevedendo nuove Regioni che siano reali cabine di regia.

Passaggi generali delle proposte che riguardano gli aspetti d’interesse degli enti locali:

– Superamento del finanziamento pubblico prevedendo un sistema di piccole contribuzioni private assistite da parziali detrazioni fiscali.

– Riforma dei partiti che applichi l’articolo 49 della Costituzione e che ne regoli la vita interna, la formazione degli organismi dirigenti, i codici etici, la trasparenza per l’accesso alle candidature.

– Riduzione del numero dei parlamentari: da 630 a 300 deputati, da 315 a 150 senatori. Il Senato diventa Senato delle Regioni.

– Lo stipendio dei parlamentari e degli amministratori regionali deve essere equiparato a quello di un attuale Sindaco di capoluogo di Provincia.

– Eliminare completamente tutte le province dalla Costituzione e promuovere unioni e consorzi tra Comuni.

– Ridurre il numero dei Comuni.

– Prevedere un tetto massimo all’indennità dei dirigenti pubblici e delle società pubbliche.

Snellire la macchina burocratica e renderla più semplice e veloce attraverso:

– Revisione e semplificazione dei centri di competenza tra Stato e Regioni anche in considerazione della trasformazione del Senato delle Regioni.

– Regolamentare le normative del Governo tali da rendere efficaci per qualità favorendone la comprensione con testi semplici.

– Forme di consultazione pubblica sui più importanti disegni di legge di iniziativa governativa.

– Semplificazione delle leggi regionali.

Responsabilità e trasparenza dei pubblici poteri

– Obbligo di rendere pubblici i provvedimenti per chi ricopre funzioni di vertice presso i ministeri e per tutti coloro che nelle diverse amministrazioni pubbliche abbiano funzione rilevante

– Prendere seri provvedimenti, con eventuali sanzioni, per i dirigenti responsabili che omettono di pubblicare le informazioni previste dalla legge.

– Obbligo di rendere pubblico l’impiego delle risorse finanziarie di cui devono essere presentati i dati con modalità semplificate ed effettivamente intellegibili.

– Ogni amministrazione sia essa centrale o periferica, deve rendere effettivamente di dominio pubblico l’utilizzo delle risorse pubbliche

Costi della politica e della burocrazia

– Eliminazione delle società ed enti partecipate con un azzeramento che di fatto spogli le amministrazioni di costi assurdi e che danneggiano il contribuente. Tutte appendici istituzionalizzate come Enti per la cultura, sport, turismo e spettacolo, consorzi. Sigle che costano alla collettività milioni di euro.

– taglio del numero di assessori, consiglieri e dirigenti, a livello regionale e provinciale, che risulta eccessivo con conseguenti costi esorbitanti e sproporzionati rispetto alla reale esigenza amministrativa di un territorio. In questo modo si garantirebbe il controllo dei conti pubblici, liberando risorse da utilizzare per interventi di sviluppo, ridando efficienza al settore pubblico allo scopo di concentrare l’azione su chi ne ha bisogno.

– Rivisitazione dei privilegi della cariche istituzionali a ogni livello.

– Prevedere intervento sia con legge costituzionale e sia con legge ordinaria (decreto legge).

Gli interventi con legge costituzionale sono semplici e rapidamente attuabili se si raggiunge il necessario consenso politico e dunque la maggioranza qualificata richiesta per le leggi costituzionali.

In particolare è possibile:

– Abolire le Province dalla Costituzione.

– Ridurre il numero dei Comuni; tenendo conto del fallimento dei tentativi effettuati con legge ordinaria sarebbe opportuno fissare un procedimento per accorpare i comuni minori. I Comuni italiani sono attualmente 8.092, di cui oltre 3.000 con meno di cinquemila abitanti; Prevedere Unione dei Comuni per 100 mila abitanti per servizi comuni.

– Con legge ordinaria si provvederebbe alla riduzione del trattamento economico dei parlamentari e dei consiglieri regionali, di titolari di cariche di governo, di membri di Autorità indipendenti, di Presidenti degli enti pubblici, del personale delle Camere, degli amministratori e dirigenti delle società pubbliche, e dei consulenti degli organi costituzionali.

La legge dunque potrebbe stabilire che il trattamento annuo lordo di un parlamentare non sia superiore al 50%-60% del trattamento complessivo annuo lordo del primo presidente della Corte di cassazione, fissando un importo netto paragonabile a quello di un sindaco di un comune capoluogo.

– Per quanto riguarda i compensi per incarichi professionali (conferiti in ambito ministeriale, etc.), va razionalizzato il sistema introdotto dal Governo Monti, vale a dire il tetto del 25% rispetto allo stipendio base del percettore.

Infatti a legislazione vigente tale tetto riguarda solo gli incarichi direttivi, e solo presso amministrazioni statali (dunque non tocca gli incarichi di consigliere giuridico presso ministeri, o gli incarichi di capo di gabinetto o consigliere giuridico presso enti non statali); il sistema va generalizzato. Tutte le misure dei trattamenti economici sono da intendere come tetti massimi e dunque non potranno esserci ulteriori aumenti dei trattamenti in godimento.

La proposta del Federalismo

Oggi sostanzialmente soltanto un’autonomia regionale, con una cabina di regia propria, può consentire ad un territorio di incamminarsi in modo sollecito verso la strada della crescita e dello sviluppo. Un’emancipazione socioeconomica che può produrre soltanto benefici per la collettività.

In tale contesto la ogni territorio sarebbe fabbro del proprio destino cogliendo l’occasione del federalismo, funzionale e di prospettiva. Poteri e autonomia decisionale metterebbero ogni Regione nelle condizioni di avere e gestire nel miglior modo possibile una propria Governance.

Il federalismo regionale, infatti, è un fenomeno da comprendere e da gestire valutando le opportunità che propone, per una democrazia più compiuta e a portata di cittadino.
Si potrebbe prefigurare una riforma degli apparati statali intermedi con una forte connotazione regionale e rafforzando le realtà comunali più significative nell’ottica delle aree metropolitane.

Si eliminerebbe in questo modo un livello medio che non è contemplato dall’esperienza delle altre democrazie europee, in sintonia con il modello americano degli Stati Uniti.
L’idea dell’ Italia delle 35 regioni, senza le 110 province, è certamente più rappresentativa delle istanze del popolo che chiede modelli virtuosi e buone prassi amministrative, senza inutili circonvenzioni burocratiche e apparati di scarsa efficienza e di precaria efficacia.
Il modello è quello di Regioni a dimensioni ottimali, a differenza della Puglia, della Lombardia, del Piemonte, dell’ Emilia Romagna (un discorso a parte potrebbero meritare Sicilia e Sardegna su cui incombe la giustificazione di una dimensione isolana a forte vocazione identitaria) soffocate da una geografia esageratamente vasta. Regioni più efficienti e vicine al cittadino, vere e proprie amministrazioni di prossimità.
Regioni con una specifica identità sociale e culturale in grado di recepire le istanze dei territori e di metterle in connessione con il sistema generale, secondo una visione glocal ovvero globale e locale.

I dipartimenti regionali, così come suggerito, consentiranno un risparmio di risorse di oltre il 50 per cento della spesa pubblica da re-investire in programmazioni per lo sviluppo e la formazione delle nuove generazioni.

Federalismo fiscale.

Le tasse delle multinazionali e dei grandi gruppi industriali e imprenditoriali devono essere pagate lì dove le aziende insistono per porre fine al lungo saccheggio e innestare un percorso virtuoso. il Pagamento dei tributi “in loco” da parte dei grandi gruppi industriali, della grande distribuzione, delle banche, delle infrastrutture turistiche e delle tante aziende che producono su un territorio, ma i cui ricavi milionari vengono tassati a beneficio di altre Regioni o altre nazioni del mondo, consentirebbe l’inversione di un modello che ha lungamente penalizzato l’economia. In questo modo il dato economico di una Regione sarebbe non solo consistente ma anche autosufficiente e indice di ricchezza. Un federalismo fiscale genuino combinato con una gestione autonoma che consentirebbe di sviluppare infrastrutture e un modello di sviluppo in linea con le proprie vocazioni.

Le identità locali sono la speranza dell’Italia unita.

L’identità dei territori, specie al sud, rappresenta un mosaico minore nel più grande mosaico dell’identità nazionale.

Questa presuppone un’inevitabile autonomia di sviluppo legata agli interessi e ai sentimenti dei suoi abitanti che concorrono all’elaborazione del patrimonio di valori civili e morali che arricchiscono le democrazia.

Sarà l’affinità socio economica e culturale a definire il profilo dei nuovi dipartimenti regionali.

In conclusione, il modello strategico è quello che si fonda su:

– una nuova Governance

– una migliore mobilità e politica dei trasporti

– una maggiore equità e giustizia sociale

– una economia locale sostenibile e moderna

– una pianificazione dell’assetto paesaggistico e ambientale

I dipartimenti avranno maggiore autonomia fiscale e finanziaria e presenteranno una geografia amministrativa con dimensioni più ragionevoli e quindi sostenibili.

Leave a comment