A qualcuno potrà sembrare fuori luogo che dalla periferia delle periferie possa giungere al nuovo Governo una indicazione riformista per il Paese.
Ma lungi da noi voler peccare di presunzione, riteniamo giusto e opportuno tentare di dare un contributo al dibattito che, proprio in quanto proveniente dall’estremo lembo d’Italia, se ascoltato può essere testimonianza di reale sforzo di coesione. Una parola che abbiamo nel cuore, e che oggi, con la Lega Nord all’opposizione solitaria, può essere la vera novità di questa Terza Repubblica.

In questa fase dobbiamo portare a termine le riforme istituzionali che possono veramente aiutarci a superare il momento di crisi.

L’Europa ce lo chiede, ma soprattutto lo chiede all’Europa un sistema occidentale che obbliga la politica degli Stati a riformarsi, e il primo punto dal quale crediamo che si debba partire è quello di un nuovo regionalismo, più efficiente e moderno, con regioni di dimensioni ottimali, omogenee e soprattutto consapevoli del loro protagonismo e della loro funzionalità burocratica, nella fase in cui tutti guardano all’Europa della Regioni più che all’Europa degli Stati.

L’Italia ha toccato con mano cosa può produrre il pressing dei mercati europei e mondiali e le ripercussioni per gli stessi Governi, così come è avvenuto per il  Governo Berlusconi costretto a rassegnare le dimissioni e fortemente condizionato dal contesto europeo. Un Governo che intanto aveva già previsto la strada obbligata della soppressione di una serie di enti inutili per ridurre le spese e contenere gli sprechi di giganteschi apparati politici e abnormità burocratiche, a partire dalle province, incapaci di guidare lo sviluppo dei territori perché prive di poteri, di funzioni, di risorse e di capacità legislative.

Il dibattito sull’abolizione delle province ha innescato reazioni a catena , portando ad un coinvolgimento diretto dei cittadini, a referendum, raccolta di firme e altro. A ciò si aggiunge il fatto che la riforma dell’architettura istituzionale deve prevedere altri passaggi, come la riduzione degli stipendi dei politici, della riduzione del numero dei parlamentari, insomma un insieme di interventi che viaggiano nella stessa direzione di rinnovare l’Italia. Non saranno la panacea di tutti i mali, non basteranno a risanare i conti dello Stato. Monti ha detto che la società civile è spesso troppo severa nei confronti della classe politica; e che ciò lo indigna. Ma per non trasformare questo distacco fra casta e paese reale in una conflittualità insanabile, la classe politica deve dar l’esempio. Altrimenti Monti si dimostrerà, di fatto, un comodo prestanome dei partiti per alzare le tasse e consolidare i privilegi.

In questo ambito che si inserisce la nostra proposta riformista di riorganizzazione del modello regionalista senza nessuna preclusione o pregiudizio che possano impedire la nascita di nuove regioni con confini nuovi diversi, come è sempre avvenuto nella Storia. Non può scandalizzare infatti la fluidità dei confini, perché questo è un fatto che da sempre ha caratterizzato la Storia d’Italia.

Occorre dare più forza alle Regioni e più cabina di regia agli Stati per costruire una nuova generazione di cittadini europei.

La Regione può cogliere e interpretare bene le sfide di un localismo moderato e mediare al meglio gli eccessi dello statalismo.
La nostra proposta è quella di un nuovo modello regionalista, ispirato a criteri di omogeneità territoriale, di prossimità e di sostenibilità dimensionale, che potrebbe diventare una novità straordinaria e al tempo stesso una formula indispensabile, per riportare nelle mani dei cittadini il pallino della democrazia, senza centralismi e senza mortificazioni di un territorio a vantaggio di un altro.

Con l’Italia delle trenta Regioni senza Province, senza Ato, Aree vaste e tanti altri enti inutili, il territorio italiano verrebbe suddiviso in aree omogenee nelle quali sarà possibile dare centralità all’intero territorio amministrato, senza creare territori di serie A e di serie B.

Bisognerebbe ripartire da zero, comprendendo le opportunità sul tavolo e soprattutto il fatto che non vi sono controindicazioni.
La riforma dell’ordinamento delle autonomie locali serve a tutti.
Abbiamo bisogno di Regioni forti e virtuose per contare di più ed essere posti tutti sullo stesso piano, per affrontare al meglio il federalismo.

Le Regioni, passando da venti a trenta, secondo una moltiplicazione numerica che produrrebbe una diminuzione dei costi per via della prossimità gestionale e della loro nascita in un momento di responsabilità e di indignazione per gli sprechi, darebbero origine ad un sistema di vantaggi economici commisurati alle effettive potenzialità espresse da ogni territorio, evitando appesantimenti, parassitismi o, peggio, inutili giri a vuoto di territori isolati, decontestualizzati e penalizzati nella loro incolpevole posizione periferica, vedi l’ultima mortificazione della soppressione dei treni.

Il Modello studiato e messo a punto dal Movimento Regione Salento rispecchia tutto questo e corrisponde la grande volontà di ammodernamento dell’apparato statale italiano, in un’ ottica di riforme condivise e strumentali alla crescita dell’intero territorio nazionale. Un Salento Regione con uno statuto moderno e funzionale secondo un modello orientato non solo a ridurre il numero dei consiglieri, degli assessori e le attuali indennità, ma soprattutto a ridurre i costi derivanti da una gestione pachidermica, clientelare e Bari-centrica.

Per quanto ci riguarda siamo disponibili a farci promotori di tale progetto su scala nazionale.
Anzi approfittando del momento storico favorevole, perché obbliga tutti a mettere in secondo piano le differenze ideologiche e perché ci rende tutti interpreti di una stagione di impegno nazionale come dichiarato dal neo presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti, siamo pronti a far pervenire al nuovo Governo la nostra istanza per un nuovo regionalismo italiano, in attesa che possa trovare seguito con un provvedimento di riforma costituzionale nell’esclusivo interesse di tutti gli italiani.

Il tempo è quello giusto, ma non dobbiamo perderne ancora se vogliamo prendere in mano il nostro futuro e quello dei nostri figli. Senza polemiche feroci. Senza opposizioni pregiudiziali, senza calcoli e strategie politiche, ma solo per un esercizio più maturo della nostra democrazia.

19/11/2011
di Paolo Pagliaro
Presidente
Movimento Regione Salento

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