Crescono le insofferenze di alcuni territori che chiedono assetti amministrativi diversi da quelli attuali. In alcuni casi propongono disaggregazioni (ad esempio il Salento autonomo rispetto alla Puglia) in altri aggregazioni (ad esempio il Molise con la provincia di Foggia e /o con il Beneventano). Se queste ambizioni verrebbero soddisfatte ci ritroveremmo con un maggior numero di Regioni (più piccole). Le insofferenze descritte non sono ingiustificate. In molte aree un capoluogo egemone soffoca tutto il resto e molti territori, che hanno peculiarità di pregio e potenzialità di sviluppo, soffrono tale condizione.
Peraltro le perimetrazioni di regioni e provincie non comprendono, come logica vorrebbe, precise realtà socio economiche. Pensiamo alla Provincia di Matera che nei fati è molto più pugliese che lucana o alla Valle D’Itria che è suddivisa tra tre provincie. Possiamo attribuire questa discrasia amministrativa al fatto che tali delimitazioni fanno riferimento a realtà territoriali e necessità amministrative di altre epoche e perciò molto diverse da quelle attuali. Ma le anomalie ci sono e occorre sanarle se si vuole migliorare l’efficienza. E’necessario dare allora alle popolazioni quanto chiedono e cioè maggiore dignità e maggiore potere decisionale. Ma anche razionalizzare l’articolazione amministrativa del territorio nazionale correggendo confini provinciali e regionali.
Contestualmente, però, si dovrebbero concepire dei piani di sviluppo regionale nel quale a ciascuna area provinciale o sub-provinciale che rappresenti una realtà socioeconomica venga conferito un ruolo che tenga conto delle sue peculiarità rendendola complementare delle altre nel complessivo processo di crescita immaginato. In sostanza disegnando un futuro per queste regioni territorialmente meglio definite attraverso una pianificazione e programmazione d’insieme concepita e gestita nel tempo secondo snelle procedure che mettano ciascun territorio in grado di ”dire la sua”, sui diversi problemi. Una cooperazione che faccia decantare le rivalità sub regionali che non siamo solo simpatica goliardia mostrando nei fatti che lavorando tutti insieme i successi dell’una devono essere considerati successi dell’insieme perché con il loro moltiplicarsi crescono la qualità complessiva e, conseguentemente, la stima altrui.
Che questa è la chiave del “successo”. Ma se tutto questo deve essere promosso dall’alto (facendo riferimento alla gerarchia amministrativa pubblica) è anche vero che iniziative di accorpamento operativo dovrebbero nascere dal basso e cioè dagli stessi comuni. Un comune che operi “in solitario” non ha più senso. Non lo ha per quelli piccoli perché solo i soggetti più forti possono darsi programmi ambiziosi. Ma non lo ha nemmeno per quelli grandi perché nel loro intorno sono sempre numerose altre realtà comunali ad esso strettamente connesse nel’operare quotidiano. Condizione, questa, che rende problematico un operare disgiunto. Uniti si vince ma solo se ben organizzati.
01/07/2010
di Roberto Telesforo