L’intervento del Presidente Paolo Pagliaro sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 28 agosto 2022:
Io sono il Salento e, proprio negli ultimi anni in cui tutti mi nominano, mi domando: conoscono la mia storia?
Io sono il Salento e con me inizia l’Italia, sono il tacco dello Stivale, un tacco largo che ha sopportato sempre il peso dell’intera nazione.
Ho la fortuna di essere baciato da due mari, Ionio e Adriatico, mi sento unico. Unico in tutto, anche per i soprusi e gli abbandoni subìti.
Molti mi hanno lasciato solo nei momenti più duri, ma c’è anche stato chi ha lottato per me.
Pochi, pochissimi per la verità, a fronte dei tanti per cui sono soltanto uno slogan.
Nella mia terra, intrisa di lavoro e sudore, illuminata dal sole e accarezzata dal vento, c’è un grande passato custodito gelosamente.
La mia storia parte dagli antri del tempo, sin dal Paleolitico medio. All’epoca ero già abitato, come testimoniano le grotte scavate nelle mie viscere: della Maternità ad Ostuni, Romanelli a Castro, dei Cervi a Porto Badisco, della Poesia a Roca Vecchia. Il mio popolo era ingegnoso e amante dell’arte, capace di dipingere pittogrammi ed erigere monumenti megalitici come dolmen e menhir.
Poi dall’Illiria arrivarono i Messapi, che costruirono la “dodecapoli messapica”, le dodici città stato autonome di Alezio, Ugento, Brindisi, Vereto, Otranto, Ceglie Messapica, Manduria, Mesagne, Nardò, Oria, Cavallino e Roca. Nacque così una federazione che aveva come capitale amministrativa Oria. Lo scettro di capitale militare, invece, andò a Ceglie per la sua posizione strategica Intorno a queste città è iniziata la mia era moderna.
Mi presento senza trucco, con spiagge lunghissime di sabbia dorata, litorali rocciosi ed un mare splendido. La mia bellezza sconfina nell’architettura in stile barocco, nei ricami di pietra di monumenti, chiese e ville. Nella meraviglia dei miei muretti a secco, delle pagghiare e delle torri costiere d’avvistamento. E poi, odori e sapori impregnano il mio perimetro: lentamente si è sviluppata una cultura culinaria ricca di prodotti eccellenti, coltivati con straordinaria passione.
Da me è iniziata anche la storia di Roma perché Enea, in fuga da Troia in fiamme, arrivò proprio sulle mie coste e diede poi vita alla dinastia di Romolo e Remo. Prima di lui mi fecero visita Pirro, re dell’Epiro e nipote di Alessandro Magno, e il grande poeta Virgilio che mi scelse per trascorrere l’ultimo periodo della sua vita.
Le mie coste sono state sempre punto d’approdo di genti, di razze e culture; il mio mare, elemento d’incontro e ponte di dialogo, ha permesso ai popoli di arricchirsi tra scambi di culture, materie prime e anche culti religiosi, e così si sviluppò in maniera esponenziale il Cristianesimo.
L’apostolo Pietro sbarcò sull’attuale Capo di Santa Maria di Leuca che all’epoca chiamavano Akra Iapygia, e mi attraversò per arrivare a Roma.
Dopo la caduta dell’Impero romano qui si sono succeduti Bizantini, Longobardi, Svevi, Normanni, Angioini, Aragonesi e Borboni, ed ogni singolo loro passo ha lasciato tracce indelebili nella mia cultura e nella mia lingua. Raccontandovi la mia storia non posso dimenticare il 1480 quando fui bersaglio dei Turchi che, guidati dalla mano sanguinaria di Maometto II, sbarcarono prima nei pressi di Roca e poi raggiunsero Otranto, dove dopo circa quindici giorni d’assedio fu ordinato il massacro della popolazione che si rifiutava di abbandonare la fede cristiana. Furono più di 800 i martiri, mentre donne e bambini furono ridotti in schiavitù.
Facendo un salto in avanti ci ritroviamo nel 1860, quando i Borboni caddero sotto i colpi di Garibaldi e fui annesso al Piemonte, provando un dolore inenarrabile. Fui saccheggiato dai piemontesi che, con le mie ricchezze, risanarono il loro deficit. Alcuni valorosi ragazzi non si arresero all’evidente inaridimento della loro terra e furono chiamati briganti. Fu una rivolta popolare che durò cinque anni, ma io continuai ad essere saccheggiato mentre il nord continuò a vivere delle mie ricchezze schernendo la mia identità. Mi tolsero l’olio, il vino, il futuro. Per circa nove secoli il mio nome era stato Terra d’Otranto, l’orgogliosa e prospera terra di Lecce, Brindisi e Taranto, poi rinominata Provincia di Lecce con l’Unità d’Italia e in seguito smembrata in tre Province sempre più depotenziate, fino ad essere svuotate di risorse con la sciagurata legge Delrio.
Questa è la mia storia, costellata di soprusi, fino al momento in cui si consumò un alto tradimento. Un mio illuminato figlio di Tricase, il più grande esponente politico salentino, Giuseppe Codacci Pisanelli, propose di farmi diventare Regione ma fu proprio un altro dei miei figli, Aldo Moro, a tradire il mio più grande sogno accordandosi, nel Dicembre del 1947, col comunista Togliatti, e così nacque la Regione Puglia che comprendeva le province di Bari, Brindisi, Taranto, Lecce e Foggia. Quella per me fu la fine perché, anziché crescere e svilupparmi, fui relegato al ruolo di cenerentola d’Italia.
Tutto si è fermato a Bari: dall’autostrada all’alta velocità ferroviaria e ad ogni tipo di moderna infrastruttura. Anche il mio aeroporto è di rango inferiore rispetto a Bari, mal servito e isolato, scollegato dalle località del territorio. Stessa sorte per il porto di Brindisi, via via ridimensionato a vantaggio di quello barese.
Tanti problemi si sono concentrati qui. L’inquinamento dell’Ilva e della centrale di Cerano, i rifiuti interrati che hanno avvelenato le falde acquifere e l’aria, causando malattie e morte. Il paesaggio deturpato dall’eolico e dal fotovoltaico senza regole, le trivelle che minacciano i mari, su cui incombe ora il nuovo pericolo delle centrali del vento offshore con gigantesche torri galleggianti progettate a pochi chilometri dalle mie coste più belle. Anche il gasdotto Tap è stato fatto approdare in una delle mie spiagge più belle, scavando poi una cicatrice profonda lunga 63 chilometri nelle mie campagne di ulivi secolari. Quelle piante meravigliose, carta d’identità della mia cultura contadina, sono state poi disseccate dalla xylella, a cui il lassismo della politica ha spianato la strada, consentendo di divorare ventuno milioni di alberi. Di fare il deserto dov’era un paradiso.
Eppure, nonostante tutti questi limiti e queste criticità dovute alla miopia e alle colpe della politica, la mia bellezza rappresenta una potente calamita per turisti e vip da tutto il mondo, che mi scelgono malgrado la carenza di collegamenti efficienti, malgrado i treni del Far West su cui si continua a viaggiare a gasolio.
Tutto è ancora da programmare e costruire. Troppe ferite mi sono state inferte, troppi torti ho subìto. Ma la rassegnazione non mi appartiene, e con orgoglio e fierezza continuerò a combattere per ottenere ciò che mi spetta, perché io sono il Salento.

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