Una battuta di spirito. Sessantaquattr’anni di rivendicazioni a corrente alternata per un Salento Regione paragonati ad una lettura d’ombrellone. Al pari di Corona che se la intende con Mora, per intenderci.
Passa l’estate, Corona cambia partner e Mora perde il suo impero. Eppure la boutade non finisce. La derisione riesce a svilire la questione.
Allora, chi ha forza politica da perdere, pensa bene di affibbiare al progetto l’etichetta del ‘made in Padania’. Sebbene l’accostamento di un salentino a un leghista dovrebbe risultare quanto meno paradossale – stessa credibilità di un Hitler ebreo – lo slogan ha seguito. Potenza della fonte. E’ così che la richiesta di autonomia amministrativa diviene smania di secessionismo, i due termini smettono di avere espressività semantica propria e sorprendentemente ci ritroviamo dotati di una Costituzione secessionista.
Step mancante alla demonizzazione del progetto: pungolare la paura della gente.
Parlare di tasse, accentare i costi. Far filtrare l’idea che la Regione Salento sia uno spreco.
Ma cos’è uno spreco? Spreco per chi? In economia lo spreco è un’attività che non produce valore, non una che non ha costi! Una regione è solo un’articolazione amministrativa, nasce giocoforza come un contenitore neutro: la sua efficienza è legata esclusivamente alla sua gestione.
Ad oggi, il carrozzone amministrativo pugliese per autocarburarsi spende più della Lombardia, regione che soddisfa le esigenze di una popolazione doppia rispetto alla nostra. Facile dedurre che il progetto regione Salento paga lo scotto di una sfiducia generalizzata nella classe politica. Ma può? Deve?
Solo una visione orba e quindi fallace potrebbe, sul piano della logica ancor prima che su quello della politica sociale, liquidare l’iniziativa sulla base dei soli costi. E i guadagni traibili dalle potenzialità rimaste in sfruttate?
Sotto l’ombelico di Bari si snodano altri 223 km. Quasi la stessa distanza che passa tra Roma e Napoli. Ma il Grande Salento non ha un’autostrada, non rientra nel piano per l’Alta Velocità, attende arterie stradali nevralgiche da decenni, vede negare ai propri porti finanche i dragaggi, assiste all’oblio di aeroporti che sarebbero strutturalmente compatibili con tratte di massima serie.
223 kilometri. Vi immaginate fare la tratta Roma Napoli risalendo per contrade e comuni?
Eppure così è: si è condannata all’isolamento una terra che è già geograficamente periferica. Una terra che, incantevole e sita strategicamente tra due mari, potrebbe materializzarsi in una perla turistica e commerciale nel Mediterraneo. Tanto siamo e tantissimo potremmo diventare.
L’isolamento coattivo ci costringe a viaggiare in terza a bordo di un Ferrari. Quando diremo basta ad una gambizzante politica dell’accontentarsi?
Arriva un punto in cui parlare è superfluo perché i numeri prendono il posto delle opinioni: c’è una città che, totalmente incurante del languore in cui arranchiamo nonostante un motore testarossa, ha dirottato su se stessa 1 miliardo di euro di finanziamenti per le infrastrutture, a fronte dei 1.4 miliardi messi a disposizione per l’intera regione.
Io non faccio appello alla vostra salentinità. Né alla vostra ionicità. Lo scrittore svedese Björn Larsson di noi scrive: <> . Ed è così: la salentinità per noi è un punto d’orgoglio che si avverte di ‘pancia’. C’è. Punto. Non deve essere interpellata. Io faccio appello al vostro buon senso. Mi rivolgo al vostro amor proprio. Vi dico, anche, che questo non è il momento per recriminare. Questa è l’opportunità per agire.
In un’Italia che ci proietta verso il federalismo fiscale e che guarda alle regioni come ad aziende che devono garantire l’autosufficienza, autogestire le risorse diventa un must.
In un’ Europa che sceglie come interlocutori preferenziali i territori e le regioni, sostenere il mito dell’accentramento amministrativo significa snobbare dissennatamente la partecipazione attiva alle dinamiche comunitarie ed esserne tagliati fuori.
In un’economia mondiale globalizzata che mette in ginocchio il ruolo dei grandi nuclei amministrativi, proprio l’ancoraggio al territorio diventa la sede e l’unica frontiera ammessa dal libero mercato.
La richiesta di autonomia è la chiave di volta. Ma necessita e gode di lungimiranza.
Il mio, il nostro futuro non può essere considerato uno spreco.
Perché sono una figlia come i vostri figli. Perché le “giovani menti” del Salento non devono essere costrette ad abbandonare la propria terra, vincolate dal ricatto occupazionale. Perché voglio l’ onore di poter lavorare a servizio della terra che amo. Perché troppe volte è andato in play il film del salentino emigrato al Nord che d’estate torna per dire: ‘Siete rimasti a 30 anni fa’.
La Regione Salento non sarà la panacea di tutti i mali. E’ un’opportunità di crescita. Non negateci anche quella.
07/10/2010
di Fabiola Imbriani