In questi giorni di bagarre elettorale dove gran parte dei parlamentari uscenti “combattono” a denti stretti per assicurarsi un posto utile in lista per essere rieletti, siamo a chiederci se tutto ció avviene per puro senso civico o perché per molti la politica non é altro che un mestiere e non essere candidati o non essere eletti o rieletti equivale ad essere “licenziati”.
Certo é che con una “buona uscita” di tutto rispetto ed un vitalizio senza pari, tutti vorrebbero essere così “licenziati”, ma il problema vero é che politica non può essere considerata un mestiere.
Le indennità da capogiro, le pubblic relations che si intessono, i benefit, rendono questa nobile arte un prezioso tesoro che nessuno mai vorrebbe mollare e tutti vorrebbero ad ogni costo conquistare.
Si pensi a quel consigliere della regione Lazio che, travolto dagli scandali, ebbe a dichiarare candidamente che si sarebbe ricandidato altrimenti “cosa avrebbe potuto fare dopo senza lavoro”, oppure, per tornare ai giorni nostri, alle dichiarazioni del candidato alla Regione Lombardia, Gabriele Albertini, che ha definito Formigoni “politico di professione” e come lui tutti quei politici che da decenni svolgono esclusivamente questa “professione”.
Come si può comprendere dagli esempi fatti, il problema di questa politica non può essere riduttivamente visto solo nella nuova generazione della classe politica, ma forse proprio nel grave errore di considerarla un lavoro.
Se si pensa poi che molti dei politici (professionisti, imprenditori, uomini d’affari e via discorrendo) continuano a svolgere regolarmente la loro professione e nella maggior parte dei casi incrementano la loro attività in ragione delle pubbliche relazioni cui sono “costretti”, ci dobbiamo chiedere se sia giusto corrispondere loro le note indennità.
Insomma, perché mai un parlamentare o un consigliere regionale deve percepire una indennità pubblica se l’attività istituzionale che svolge gli consente non solo di non subire un danno, ma addirittura di trarne, a volte, beneficio?
In questo senso, una soluzione potrebbe anche essere quella prospettata da un parlamentare del PD che, nel tentativo di risolvere l’altrettanto grave problema del conflitto di interessi, ha depositato un disegno di legge secondo il quale, durante il mandato elettorale, non si può esercitare un’attività che generi introiti superiori al 15% dell’identità percepita (per la cronaca il senatore Mario Agostini non é stato ricandidato – almeno sino ad oggi – e la sua proposta di legge é conservata in uno dei più bui e profondi cassetti del Parlamento).
Tanto fungerebbe certamente da deterrente per tutti coloro che desiderano un posto in Parlamento o in Consiglio regionale solo per scaldare la sedia e per guadagnare lo stipendio mensile, ma sotto una diversa prospettiva altrettanto efficace sarebbe il non corrispondere alcuna indennità, vitalizio, buona uscita a tutti coloro che continuano ad esercitare la professione senza subire pregiudizio, se tale lo si può definire, dal servizio civico che loro stessi, senza alcuna costrizione o obbligo, hanno deciso di svolgere; ovviamente con i necessari distinguo per tutti i “veri” amministratori che, soprattutto a livello comunale, sottraggono tempo e risorse al lavoro ed alla famiglia.
Questa una scintilla di civiltà se è vero che, per rifare le fondamenta, è necessario abbattere l’intero edificio.
15/01/2013
di Nicola Flascassovitti
Coordinatore cittadino di Lecce
Movimento Regione Salento