Orgoglio, identità, coscienza, rivoluzione, libertà. Sembra di sentir parlare Robespierre, l’uomo che ha infiammato la Francia con i suoi principi libertari nel diciottesimo secolo, ma a rispolverare questi concetti nel Terzo Millennio è Paolo Pagliaro, vulcanico editore leccese che ora in testa ha un chiodo fisso: la Regione Salento. Non è una secessione, piuttosto una separazione naturale, non certo consensuale. Un tentativo di mettere argine al presunto baricentrismo pugliese che da quarant’anni esatti, da quando sono state costituite le Regioni, ha inondato gli uffici e i corridoi di viale Capruzzi. Ci vuole coraggio, continua a ripetere Pagliaro. Coraggio per sbandierare la propria salentinità, per rivendicare i propri diritti, per far sentire la propria voce. Altro che inutile carrozzone, come sostiene più di qualcuno. Piuttosto un cantiere di idee e di progetti capace di spostare risorse verso il nostro territorio, evitando inutili piagnistei meridionali. Per non perdere ulteriori occasioni d sviluppo.

L’esercito dei suoi detrattori appare piuttosto agguerrito e sembra ingrossarsi con il passare dei giorni…

“Ma no. E’ vero il contrario. Sono sempre di più i salentini che plaudono a questa iniziativa, mi infondono forza e coraggio per andare avanti. La gente è con noi, le imprese sono dalla nostra parte. La mia è una sfida ai pregiudizi e ai preconcetti”.

E a chi parla di nuovi sprechi, di altre tasse da pagare cosa risponde?

“Guardi, questa è solo demagogia, è disinformazione allo stato puro. Noi andiamo al di là degli slogan. Intercettiamo un sentimento popolare diffuso”.

Sì, ma i soldi? Questo progetto ha le gambe per essere sostenuto economicamente?

“Assolutamente. C’è uno studio che dimostra che il Pil delle tre province è più alto se rapportato a quello di Bari e della Bat. E poi…”.

E poi, cosa?

“I risparmi sarebbero evidenti. Un esempio? La nuova sede della Regione Puglia non servirebbe più: 87 milioni da rimettere nelle casse regionali e reinvestire, semmai, per i cittadini. Senza contare l’abbattimento dei costi per i dipendenti trasfertisti che da Lecce, Brindisi e Taranto si recano ogni giorno a Bari. Parliamo d milioni di euro all’anno da risparmiare”.

Tre province (Lecce, Brindisi e Taranto), un milione 800mila abitanti, uno spirito identitario che prova ad essere metabolizzato. Insomma, è un progetto realizzabile?

“Non solo è realizzabile, di fatto la Regione Salento esiste già. Il collante è l’identità comune capace di tenere assieme i tre territori. Vogliamo svegliare le coscienze”

Anche se il tentativo di costituire il cosiddetto Grande Salento è naufragato clamorosamente…

“Non vi erano i presupposti. Io sono stato tra coloro i qual hanno condiviso sin da subito questo progetto, ma non è stato supportato adeguatamente. E, soprattutto, non è stato fatto digerire dalla base, dai cittadini. E’ sembrato un progetto calato dall’alto nel quale i protagonisti erano solo i presidenti delle tre province…”.

Ma cos’è che non funziona nella Regione Puglia? Perché non dare più forza al Salento restando all’interno della nostra Regione?

“Perché non siamo più nelle condizioni di tollerare una situazione che va avanti da decenni. La Puglia è una Regione lunga e distante sul piano geopolitica, un ente incapace di dare risposte ai salentini. Fino ad oggi abbiamo assistito a squilibri pazzeschi nella gestione delle risorse pubbliche”.

C’è chi lo ha definito un miraggio. Certo è che il percorso per arrivare alla Regione Salento è irto di ostacoli, anche istituzionali…

“Sì, l’iter è lungo ma non dobbiamo scoraggiarci. Bisogna crederci. Intanto abbiamo invitato tutti i consigli comunali a portare l’argomento in aula consiliare per chiedere l’indizione di un referendum popolare di tipo consultivo. Centoventi sindac hanno già abbracciato l’idea della Regione Salento. E’ fondamentale dare la parola ai cittadini”

Non ha timore di fare un buco nell’acqua?

“Guardi, già il fatto di aver smosso le coscienze, di aver costretto i giornali a parlare di questo argomento, è un successo. Ma io non mi accontento. Questa è una rivoluzione culturale. Vogliamo rimettere al centro i cittadini, offrire loro il diritto-dovere di partecipare alla gestione della cosa pubblica…”.

Sì, ma il nodo è sempre lo stesso: la rappresentanza politica, altrimenti finirebbe per dare ragione a chi parla di un nuovo carrozzone…

“La nostra classe dirigente ha fallito. Non è riuscita a salvaguardare i direttiti dei cittadini meridionali e di quelli salentini in particolare, sudditi di un sistema che regala prebende e alimenta centri di potere e di sottogoverno. Noi del comitato Regione Salento intendiamo rompere questo circuito. Ecco perché molti politici si sono messi di traverso…”.

Non tutti, a quanto pare…

“No, ma io rifuggo da quanti provano a strumentalizzare questo progetto. Sapesse quanti hanno provato a bussare alla mia porta con il cappello in mano e una messe di voti in tasca…”.

E lei che ha fatto?

“Ho risposto che non me ne frega nulla del loro portafoglio di elettori o potenziali tali. Nel mio comitato non c’è posto per persone che a vario titolo hanno o hanno avuto rapporti con partiti politici”.

Ma c’è posto per lei, magari per occupare nuove poltrone…

“Guardi non appena coglieremo il primo obiettivo, l’ottenimento del referendum, automaticamente il comitato si scioglierà. Non sono a caccia di un posto al sole. Le mie battaglie come editore a favore del nostro territorio partono da lontano. Sfido chiunque a dire il contrario…”

Questa, tuttavia, è una battaglia diversa, il bersaglio è più alto…

“Io voglio solo rompere uno status quo che rischia di incrostarsi anche nella testa dei cittadini. Mi sembra un duello che richiama una vecchia dicotomia: da un lato i conservatori, coloro che preferiscono che resti tutto com’è, timorosi di perdere consolidare rendite di posizione, dall’altra i riformisti che puntano a scardinare questa situazione”

Ma cos’è, un attacco frontale alla casta di casa nostra?

“E’ una denuncia ai favoritismi e alle prebende, ai perbenismi e ai privilegi, alle auto blu e alle pensioni da favola, eccetera eccetera…”

Sì, ma così facendo rischia di trasformarsi in una guerra preventiva ai politici, dispensando massicce dosi di demagogia e di dietrologia…

“E’ il sistema che non funziona. E che finisce per spostare solo su Bari risorse e progetti, penalizzando un territorio che ora è stanco di subire. Noi abbiamo idee e uomini per lanciare quello che ho definito il Cantiere Salento, quello che ne nostri intenti dovrebbe divenire un modello virtuoso di sviluppo da esportare in tutta Italia”.

Uno scenario a tinte fosche: sembra che tutti i mali del Salento dipendano dalla Regione Puglia…

“E’ proprio così, checché se ne dica. Qualche esempio? L’autostrada che termina a Bari, il doppio binario elettrificato sulla Lecce-Bari atteso quarant’anni, la Lecce-Taranto impantanata nelle maglie della burocrazia e dell’insipienza. Sa dove hanno realizzato il progetto dell’Interporto? A Bari, naturalmente, escludendo lo scalo merci di Surbo con una bacchetta magica. Per non parlare della Maglie-Leuca che è ancora lì al palo. E adesso, se passa il progetto dell’Alta capacità rischiamo di restare isolati per altri cento anni. Una scelta miope, ma nessuno qui si muove…”.

Secondo lei, dunque, il baricentrismo è nelle cose…

“Certo, basti pensare che l’80 per cento dei funzionari della Regione è di Bari. Al di là dei rappresentanti istituzionali c’è una incrostazione di rapporti consolidati nel tempo…”.

Ma non sarebbe sufficiente rafforzare il Salento, offrire progetti e risorse, uomini e mezzi piuttosto che avviare un’operazione che puzza di separatismo spicciolo?

“Ripeto, ci hanno provato inutilmente i tre presidenti delle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Non avevano gli strumenti giusti, non avevano poteri. Segno evidente che solo con un rapporto diretto con il Governo centrale e con l’Unione Europea si possono intercettare fondi significativi e far sentire la propria voce”.

Ma qual è la priorità del suo Cantiere Salento?

“I porticcioli turistici. Una risorsa per rilanciare il turismo. Per infrastrutturare il territorio senza stravolgerlo sul piano ambientale. Si può. Si deve. Per fare del Salento l’undicesima regione d’Italia. Io ci credo. Ci devono credere tutti”.

Espresso Sud 19/10/2010
di Antonio Greco

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