Riceviamo e pubblichiamo un interessante studio sulle radici storiche della Regione Salento dalla Dott.ssa Lory Larva, divulgatrice scientifica di TeleRama ed autrice di numeose pubblicazioni storico-archeologiche.
ALLE RADICI DI UNA REGIONE di Lory Larva
Dopo decenni di incubazione sotterranea ci si interroga ancora se <>. Meritava il Salento di divenire regione così come proposto il 17 dicembre del 1946 dallo statista Giuseppe Codacci Pisanelli? E come mai, il sogno di divenire regione autonoma sfumò in una bolla di sapone, quando approdò in aula il 29 dicembre del 1947 dinanzi all’Assemblea Costituente?
In molti continuano a imputare il permanente quanto assurdo stato di subordinazione a Bari, eletta in quel frangente a capoluogo della Regione Puglia, al partito democristiano nella persona di Aldo Moro, che, in nome di enormi interessi politici ed economici, sacrificò le aspirazioni di un popolo, al quale venne negato un diritto sacrosanto e irrinunciabile.
A nulla valse invocare nel 1987 le potenzialità di quella che i Greci chiamavano Messapia, la “terra tra i due mari”, facendo appello alla sua particolare situazione geografica, demografica, artistica, urbanistica e architettonica. La proposta di legge Memmi-Meleleo venne bocciata senza appello dalla Camera dei Deputati. Stessa sorte infausta subì il disegno di legge 4232/XIII, archiviato nel 2001 alla scadenza della legislatura, che prevedeva l’istituzione di una Regione autonoma annoverante le province di Taranto, Brindisi e Lecce, quest’ultima candidata a divenirne capoluogo.
La famigerata decisione verticistica, adottata nel 1947 per incapacità di recepire istanze autonomistiche del tutto legittime, continuava a pesare come un macigno. Soltanto l’orgoglio della salentinità ferita poteva invertire la rotta.
Sopite le aspirazioni di campanilismo, in molti preferirono continuare a covare sotto la cenere, in attesa di tempi migliori, un autentico sentimento di riscatto, generato da una condizione culturale dettata dall’attaccamento alle proprie radici e alla propria storia. Ora che quel tempo finalmente è arrivato appare chiaro come la Regione Puglia sia soltanto una semplice espressione geografico-amministrativa, per nulla coincidente con il trascorso storico. Non a caso già sin dal VII sec. a.C. esistevano le Puglie, scaturite, sulla base delle fonti letterarie e archeologiche, dalla frammentazione dell’unità japigia. Sulla scia della ripartizione tribale, in base al territorio d’appartenenza, vennero a configurarsi tre entità distinte e separate molto probabilmente afferenti a popolazioni di stirpe illirica: la Daunia nella Puglia settentrionale (attuale provincia di Foggia), la Peucezia nella Puglia centrale (attuale provincia di Bari) e la Messapia nella Puglia meridionale (attuali province di Lecce, Brindisi e parte di Taranto), dando inizio a quel processo di differenziazione antropologica, linguistica, culturale, economica e sociale rimasto inalterato nel corso dei secoli. In età romana il toponimo Japigia, di matrice mitologica, si trasformò in quello storico di Apulia, presentando sulla carta geografica confini ancor più estesi rispetto a quelli attuali. Esso dapprima indicò la parte settentrionale, poiché quella meridionale corrispondeva alla Calabria. L’eco di questa complicata toponomastica riecheggiava nella denominazione di Regio Secunda: Apulia et Calabria attribuita all’imperatore Augusto, artefice della suddivisione della penisola italica in undici regioni. Il coronimo Calabria dall’età bizantina in poi, per motivi amministrativi, venne riferito, invece, all’attuale regione Calabria che, in precedenza, coincideva con il Bruzio.
Sin dal periodo più antico, caratterizzato dapprima dal fiorire e in seguito dal declino delle diverse civiltà indigene coinvolte loro malgrado nel processo di romanizzazione, ma soprattutto in età medievale, continuarono a registrarsi profonde divergenze tra territori agli antipodi, posti però sotto l’ala protettiva di feudatari appartenenti spesso alla stessa linea dinastica.
Un’ulteriore pagina si aprì dopo i tentativi di definizione territoriale del periodo rivoluzionario, tra il 1806 e il 1816, quando i distretti di Lecce, Taranto e Mesagne vennero a costituire un’unica provincia. Successivamente nel 1813 venne istituito il distretto di Gallipoli e trasferito il capoluogo distrettuale da Mesagne a Brindisi. Così la provincia nel 1861 ricalcò i confini geografici dei suddetti distretti, scaturiti durante il periodo napoleonico. Quella che fu un tempo la gloriosa Terra d’Otranto mantenne inalterato l’assetto originario fino alla configurazione attuale delle tre province di Lecce, Brindisi e Taranto.
In seguito le incalzanti trasformazioni socioeconomiche e demografiche orientarono verso un tentativo poi fallito di una ricostruzione di una Regione denominata Salento ispirata all’antica tradizione storiografica.
Nel 1927 in piena epoca fascista la provincia di Terra d’Otranto venne smembrata con l’istituzione delle province di Taranto e Brindisi, la cui autonomia era destinata ad essere favorita da uno sviluppo commerciale ed industriale, oltre che economico con l’impianto di notevoli complessi industriali. In questo contesto Lecce perse gradualmente la leadership economica e politica del territorio. Lentamente, ma inesorabilmente, si definirono così nette cesure tra un’area centrale molto più evoluta in virtù del fenomeno dell’industrializzazione, circoscritto al triangolo di Bari, Taranto e Brindisi (i tre più importanti porti pugliesi) e due molto più arretrate a valenza agricola gravitanti intorno alla Capitanata e al Basso Salento. Il processo di industrializzazione si accentuò nei primi anni Sessanta con l’attivazione del quarto polo siderurgico nella città jonica e con l’insediamento della Montecatini in quella messapica.
Intorno agli anni trenta del Fascismo alcuni autorevoli esponenti del Regime (Achille Starace, Guido Franco, Gaetano Palmentola), tutti di origine salentina, si impegnarono a far recuperare l’antico prestigio commerciale di Gallipoli e del suo scalo marittimo, candidandola a divenire capoluogo di una autonoma regione “salentina”. Il governo, invece, si limitò a disgregare la Provincia di Terra d’Otranto nel solco di un disegno, rispondente ad esigenze politiche di prelievo fiscale, divisione patrimoniale e compensazione di territorio e di abitanti.
L’idea dell’istituzione di una regione “salentina”, comprendente gli antichi distretti di Taranto, Brindisi e Lecce, in considerazione delle comuni radici storiche, che sottintendevano alla provincia di Terra d’Otranto, fu ripresa due anni dopo la fondazione della provincia di Brindisi dal principe cattolico moderato Sebastiano Apostolico Orsini-Ducas e negli anni successivi al dopoguerra dallo statista Giuseppe Codacci Pisanelli e dagli altri deputati della Costituente (il democristiano Beniamino De Maria, i liberali Giuseppe Grassi e Luigi Vallone, il monarchico Vincenzo Cicerone e il socialista Vito Maria Stampacchia).
Relativamente a questa proposta i politici pugliesi si divisero in due opposti schieramenti a seconda dell’appartenenza alle diverse aree geografiche pugliesi, cosicché emerse da una parte l’isolamento politico dei leccesi, non sostenuti dalle correnti politiche democristiane, socialiste, demolaburiste e liberali né a livello regionale, né a livello interprovinciale, e dall’altra la prevalenza dell’opposizione dei democristiani baresi, per nulla intenzionati a rinunciare al ruolo predominante di Bari in prospettiva della riorganizzazione del territorio pugliese, soffocando ogni tentativo di ulteriori frazionamenti, quale anche, in conseguenza, la costituzione della regione “dauna” con capoluogo Foggia.
Alla luce di queste premesse l’Assemblea Costituente si dichiarò propensa a non alterare l’equilibrio delle regioni storiche a scapito della creazione di altre. Da quel momento in poi il progetto rimase arenato in attesa che qualcuno ne riprendesse in mano le redini.
Quasi come un atto di ribellione a questo criterio di valutazione ingiusto e penalizzante recentemente è tornata in auge la vexata quaestio al fine di rivendicare una piena autonomia da una politica baricentrica avulsa dalle istanze della popolazione salentina, che assiste impotente, ma non più rassegnata, alla limitazione dello sviluppo economico, sociale e commerciale del suo territorio, agognando con fierezza al riconoscimento della sua identità in nome della diversa tradizione culturale retaggio di un glorioso passato a garanzia di un radioso futuro.
di Lory Larva
Riferimenti bibliografici:
S. APOSTOLICO ORSINI-DUCAS, La penisola Salentina ha i caratteri di Regione, Lecce 1927
C. DE GIORGI, Geografia fisica e descrittiva della provincia di Lecce, Lecce 1897, vol. I.
M. DE GIORGI (a cura di), Per una storia delle amministrazioni provinciali pugliesi. La Provincia di Terra d’Otranto (1861-1923), Manduria 1994, pp. 3-49.
A. L. DE NITTO, Amministrare gli insediamenti (1861-1970). Il caso della Terra d’Otranto, Galatina 2005.
A. SPAGNOLETTI, Territorio e amministrazione nel Regno di Napoli (1806-1816) in Meridiana, n. 9, 1990, pp. 79-101.
28/07/2010
di Lory Larva