Dal Quotidiano 25.1.15
Ma dico io, e la Tripolitania no? E la Cirenaica? Tralascio Dalmazia e Istria, per rispetto a chi ha dato la vita per quelle terre («Vitam dedit Timavo», dice una stele commemorativa).
Se proprio dobbiamo prendere i pennarelli e ridisegnare l’Italia colorandola un po’ come la libera fantasia ci suggerisce, perché limitarci? Noleggiamo anche una macchina del tempo e includiamoci qualche angolino pittoresco dei possedimenti d’oltremare! Balbo e qualche nostalgico apprezzerebbero assai.Si può fare. Ci mancherebbe. Basta non pensare di farlo nella realtà. Basta non presentare, per esempio, un disegno di legge di riforma costituzionale in cui le venti Regioni italiane sono accorpate un po’ come viene.
Basta non sognarsi neppure – scusate se parlo subito del territorio dove vivo – che la Puglia, già molto disomogenea di suo, possa addirittura gonfiarsi ancora per inglobare le Province di Matera e Campobasso, diventando la «Regione del Levante». Bel nome. Solare. Ma ne verrebbe un accrocchio ingovernabile. Un capolavoro annunciato di cattiva amministrazione.Basta poi non volare dall’altra parte – sull’altro mare – e mettere insieme la Campania (dove già oggi Salerno fa a cazzotti con Napoli) con le Province di Latina e Frosinone. E come lo chiameremmo quest’altro coacervo? Che ne dite di «Regione tirrenica»? Suonerebbe davvero bene, dobbiamo ammetterlo.L’Umbria, poi. Basta non considerarla roba superata e quindi farla sparire. Appiccicandola alla Toscana e alla Provincia di Viterbo: ed ecco nata la «Regione appenninica». La Lombardia invece non si toccherebbe. Amministrazione regionale ineccepibile: mai una diceria, che so, un’indagine. Nulla. Quindi promossa a pieni voti.
Sembrano immagini di un sonno agitato. Invece una proposta del genere è stata davvero presentata poco tempo fa. E i media l’hanno ripresa, chiedendosi solo se rispecchi la posizione ufficiale del partito di maggioranza, cui i due parlamentari proponenti appartengono. Io spero proprio di no. Da giurista ho il dovere di chiedermi comunque una cosa. Queste pur singolari proposte di accorpamenti derivano da una meticolosa e aggiornatissima indagine sui cambiamenti dei processi socio-economici, che a loro volta generano l’esigenza di una modifica del mosaico territoriale italiano?La risposta è nel disegno di legge e nella relazione che lo accompagna.C’è un solo articolo. Invece delle venti attuali, ora si prevedono dodici Regioni. Disegnate come abbiamo visto. Punto.
Ma per favore! Siamo o no consapevoli che prevedere dodici macroregioni richiede la contemporanea scrittura di nuove norme costituzionali con cui decidere quali funzioni attribuire a questi nuovi, enormi enti territoriali? E comporta pure la riprogettazione di tutto il Titolo V e dell’ordinamento del Senato, insomma della nostra forma di governo? Una rivoluzione istituzionale di questa portata presuppone un pensiero politico strutturato e un articolato normativo di grande complessità. Invece in questo disegno di legge non c’è nulla. Silenzio su tutti questi fronti cruciali.
E sopratutto: nel disegno di legge dove e come è stata affrontata la questione base, cioè l’«analisi delle funzioni», snodo complicatissimo che richiede tempi lunghi, energie e competenze smisurate? Sta tutto – miracolo di sintesi – nella relazione d’accompagnamento (lunga – al lordo d’introduzione e considerazioni di maniera – appena due facciate scarse).
Eccovela l’analisi, inconfutabile nella sua scientifica e millimetrica precisione: tolte Sicilia, Sardegna e Provincia di Roma, c’è scritto che «le altre regioni sono riorganizzate sulla base di partizioni il più possibile omogenee per storia, area territoriale, tradizioni linguistiche e struttura economica con nuove denominazioni afferenti più alla loro configurazione geografica che non identitaria». Non si spreca una parola di più.
Anche da parte mia.
Prof. Avv. Pierluigi Portaluri