Io c’ero. E ho amato esserci.
Giovani. Di quelli che scendono in piazza non per salvare dall’ infeltrimento il proprio maglioncino politico, non per osannare uomini con tanto di ideologia e potere annesso: ma giovani che hanno un’idea e, semplicemente, ci credono. E ci mettono la faccia. E ci mettono l’impegno.
Dalla poltrona di casa non nascono i cambiamenti.
Nonostante una Lecce spazzata dalla pioggia e poche ore per farci sentire, il flusso di gente al nostro banchetto informativo è stato alto e, soprattutto, costante.
Gente che conosce i problemi della propria terra perché li vive ogni giorno.
Gente che queste contraddizioni vuole risolverle.
Gente che è spazientita dalla poesia e preferisce ascoltare chi le si rivolge in prosa.
Gente che non ci ha concesso un comodo click da qualche social network, ma ha speso nome, cognome, dati sensibili e firma.
L’adesione spontanea è stata notevole, determinante. Ne possiamo andare orgogliosi.
Eppure l’incontro più inebriante è stato con un’anziana coppia. Titubanti, perplessi: “Non crediamo più nella politica, ci ha illuso e disilluso troppe volte. Nessuno merita più il nostro voto”, mi dicevano. E avevano sacrosanta ragione.
“Se la mia generazione riuscisse a ottenere anche solo la metà del miglioramento padre-figlio che ha conquistato coraggiosamente la vostra, mi riterrei soddisfatta. Ho ventiquattro anni e ho diritto a pretenderla, questa opportunità”, ho risposto io. Hanno aderito. Entrambi.
Ci diranno che siamo populisti. Ci diranno che esaltiamo il “popolo”. Never mind: non importa. Noi siamo popolo.

18/10/2010
di Fabiola Imbriani

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